In queste ultime ore molti primi cittadini, assessori e politici si sono lanciati verso la folle rincorsa alla riapertura dei servizi per l’infanzia e le scuole.
Certo, siamo consapevoli che tutto questo sia necessario per rimettere in moto l’economia, ma attenzione, questi servizi che comprendono quasi nove milioni tra bambine, bambini, ragazze e ragazzi sono stati i primi ad essere fermati in questa emergenza per un motivo abbastanza serio: rischiavano di essere dei veicoli del virus molto importanti. Tale affermazione non è stata fatta dal MIUR bensì dall’ISS.
Ancora oggi mentre scrivo queste poche righe si contano in Italia oltre tremila contagi e oltre quattrocento morti, mentre la Toscana conta 97 contagi e 19 morti (24 aprile 2020). Direi che anche un profano capisca che non siamo fuori dal virus.
Premetto che sono un docente di lettere della Scuola Secondaria di Primo Grado e un Coordinatore pedagogico nei servizi 0-3, quindi fortemente implicato in questa vicenda.
Sappiamo tutti che la DAD (didattica a distanza) non sia proprio il massimo, così come tenere le bambine e i bambini più piccoli a casa e deprivati di socialità un qualcosa di innaturale.
Del resto, però innaturale lo è anche questo momento che ci ha riportato ai periodi della peste e a reminiscenza dei due conflitti mondiali.
Come tutte le situazioni emergenziali bisogna adeguarsi e in questo momento tutti lo devono fare, bambini compresi che in questo modo non vengono accantonati ma bensì messi al centro e resi consapevoli di un qualcosa che sta avvenendo.
Tutti a gran voce richiamano alla ripartenza, ma personalmente esprimo qualche dubbio, anzi forse più di qualche dubbio.
Gli esperti continuano a sostenere che il mezzo più efficace per tenere lontano questo virus sia il distanziamento sociale. Oramai ce lo hanno detto in tutti i modi e addirittura nelle settimane lo spazio è anche aumentato, passando da un metro a un metro e ottanta.
A questo punto mi viene da fare una semplice domanda da addetto ai lavori: com’è possibile mantenere una distanza di sicurezza all’interno delle nostre strutture scolastiche o educative? Possiamo pensare di non abbracciare una bambina o un bambino che necessita del nostro supporto? Possiamo pensare di dire ai bambini di non avvicinarsi per giocare tra loro?
Onestamente credo che non sia possibile. Non solo, ricordiamoci che soprattutto nella fascia 0-6 l’educazione passa attraverso la cura, la relazione e il gioco.
Aggiungo un altro spunto. Il personale docente e educativo si troverebbe a gestire una situazione mai gestita. Dunque bisognerà attivare dei canali di formazione che però da soli non basteranno, perché è evidente che ci sarà la necessità di un supporto psicologico. Infatti, mi chiedo se tutti i protagonisti educativi saranno in grado di riprendere come se niente fosse successo.
Altro fattore da non trascurare. I nostri plessi educativi oltre a non essere chiaramente in grado di poter gestire la distanza all’interno, non lo sono nemmeno all’esterno visto che i giardini sono piccoli, oltre all’incognita metereologica. Se scoppia un semplice temporale estivo, come ci comportiamo?
Ovviamente le difficoltà ci sono anche con numeri molto, molto bassi.
Lascio perdere l’aspetto sanificazione. Per questo, come per altre questioni, sarà necessario un intervento degli esperti che dovranno dettare tempi e modi del farlo.
Tutti questi dubbi nascono da una riflessione attenta e approfondita, ma soprattutto dal vivere quotidianamente il mondo dell’educazione. Fino ad ora la politica, la medicina e i vari esperti ci hanno raccontato una verità suffragata dai numeri impietosi.
La scuola, i servizi per l’infanzia e le scuole estive in questo momento non possono ripartire, perché sempre secondo gli esperti mancano le condizioni minime di sicurezza. Non solo, non è pesabile alcuna fuga in avanti dettata da non so quali interessi senza che il tutto sia stato affrontato scientificamente e con delle regole precise per tutti.
Alla fine concludo con una nota di amarezza. Sento parlare continuamente di bisogni e diritti delle bambine, dei bambini, delle ragazze, dei ragazzi e delle famiglie, ma nessuno si è preso la briga di parlare dei diritti di molte lavoratrici e lavoratori dei servi per l’infanzia 0-3 gestiti della cooperative che da un giorno all’altro si sono ritrovati a casa. Nessuno parla del loro stato d’animo, nessuno parla della loro perdita di identità lavorativa, nessuno parla della loro perdita economica e soprattutto nessuno si domanda se abbiano vissuto un dramma familiare. Salvo poi mandarli nuovamente allo sbaraglio.
Forse questa era l’occasione giusta per ripartire riflettendo e rimettendo l’educazione al centro della discussione. Così non è stato.
Enea Nottoli
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