Lo volle la Lega Nord e il Pd lo avallò, con D’Alema che se ne intestò la paternità, ma i cui effetti deleteri sono a portata di mano, a cominciare dalla scuola e finire alla sanità. Il riferimento va al Titolo V della Costituzione che fu modificato per mettere a tacere la Lega che chiedeva federalismo, e federalismo fu, nell’ubriacatura di quella parola d’ordine che ora sta mettendo la sanità sotto l’inchiesta dalla magistratura per i conflitti sulla gestione del covid9 tra Regione Lombardia e Stato e con la spada di Damocle della regionalizzazione della scuola, voluta, a norma di Titolo V, da tre Regioni del Nord.
La regionalizzazione dell’istruzione
Se passasse il provvedimento della regionalizzazione, infatti, si affiderebbero ai singoli territori materie essenziali allo sviluppo equilibrato del Paese come la scuola, la salute, l’ambiente, i trasporti, le infrastrutture, la ricerca scientifica e tecnologica, i contratti di lavoro e, perfino, i rapporti con la Ue. Anche una sola di queste materie, sottratta alla funzione perequativa dello Stato, innescherebbe un processo irreversibile.
Basti pensare che le tre Regioni “apripista”, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, producono da sole oltre il 40% del PIL nazionale e chiedono di gestire direttamente la differenza tra le entrate fiscali/tributarie e le risorse che vengono spese, che ammonta a circa 30 miliardi. Una vera secessione dei ricchi.
L’evidenza dei conflitti sulla sanità
Sulla sanità fra l’altro si è vito che in pratica sopravvivono venti modelli diversi l’uno dall’altro dal punto di vista dell’impostazione generale, ma con qualche preoccupante punto in comune: una sempre più evidente preponderanza di un modello di sanità con l’ospedale al centro e la medicina territoriale depauperata, un ventaglio di “prestazioni che il pubblico ha garantito sempre meno a vantaggio del privato con costi ovviamente maggiorati scaricati sulle Regioni in un intreccio di convenzioni e accreditamenti in un sistema che ha troppo spesso colpevolmente messo i numeri dei conti prima della salute dei pazienti”.
Ma non è solo questo: la modifica del Titolo V della Costituzione ha procurato e continua a procurare centinaia di conflitti di competenza tra Stato e Regioni, nessun valido decentramento e un infinito ginepraio da cui si pensa di uscire sopprimendo le Regioni.
La discrezionalità delle regioni
Infatti l’ampio e discrezionale potere concesso alle Regioni ha fatto lievitare la spesa pubblica, senza portare alcun beneficio alle persone, nei confronti della sanità e gonfiare la spesa regionale per vitalizi, indennità, rimborsi ecc.. Negli anni la spesa è cresciuta del 98%. Anche la spesa per il funzionamento delle regioni è aumentata favorita dal moltiplicarsi di strutture, apparati, personale, mentre sono aumentate le tasse regionali.
Ma la cosa più grave è stato il caos amministrativo e del proliferare dei conflitti di competenza che intasano tribunali e paralizzano le decisioni.
Il governatore delle regioni
In pratica il decentramento, la valorizzazione del ruolo delle autonomie locali e l’introduzione del federalismo fiscale si sono progressivamente trasformate in vere e proprie armi nelle mani del Presidente di turno che le ha utilizzate, per aumentare il livello di “autonomia” della propria regione fino a farla diventare quasi uno stato indipendente.
Lo scontro tra il governo centrale e quelli delle singole regioni è diventato talvolta intollerabile, come abbiamo visto in queste occasioni: ad un Dpcm corrispondeva un’ordinanza uguale e contraria delle Regioni, mentre la confusione normativa ha dimostrato pure una tendenza a sfidare il potere centrale con la scusa di conoscere meglio il territorio.