Nella P.A. “quasi tutti gli 80mila contratti a tempo determinato si protraggono da oltre 36 mesi” e, con la recente sentenza, in caso di ricorso in giudizio e certificazione dell’abuso del rapporto a termine il lavoratore “ha diritto a un risarcimento, senza onere della prova, con un’indennità tra le 2,5 e le 12 mensilità”.
Lo ha riferito all’Ansa il responsabile settori pubblici Cgil, e questo a causa della pronuncia della Corte di Cassazione sul precariato nel pubblico impiego.
La platea dei potenziali interessati dalla sentenza, depositata a metà marzo, è quindi per la Cgil quasi coincidente con il totale degli occupati a termine, 79.691 (dati Aran sul 2014). Ciò senza includere la scuola, “per cui si attendono altri pronunciamenti”, mentre la Cassazione, a sezioni unite, ha “ripreso il tema del tempo determinato nella P.A, ribadendo l’impossibilità di trasformare il rapporto di lavoro in tempo indeterminato in forza dell’articolo 97 della Costituzione, che prevede l’accesso tramite concorso”.
Ma la Corte dice anche altro, ed è qui la novità: “Se c’è un giudizio di abuso, di illegittimità, anche nel pubblico, come nel privato, vi può essere su un risarcimento certo” e nel pubblico “non bisogna provare niente, se non la durata oltre i 36 mesi”.
Inoltre per la P.A., “l’indennizzo forfettario è un punto di partenza, poi si può anche dimostrare un danno maggiore”.
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La sentenza secondo il sindacalista “pone con sempre più urgenza il problema delle stabilizzazioni, visto il blocco del turnover e l’esclusione dei co.co.co nella P.A. dal primo gennaio 2017”.
Il rischio per la Cgil “è quello di un’emorragia occupazionale e bisognerà che la riforma Madia ne tenga conto nell’esercitare la delega sul lavoro flessibile, considerando pure le nuove regole ‘concorsuali’ per l’attivazione dei contratti a tempo determinato”.
Per il segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori, la vicenda dimostra “quanto sia cruciale e non più rinviabile il rinnovo dei contratti pubblici. Luogo nel quale decidere che il tempo determinato sia effettivamente tale e non rinnovabile all’infinito”.
Intanto la sentenza della Cassazione mette dei punti fermi con, si legge nel giudizio, un'”interpretazione adeguatrice” che per “rinvenire nell’ordinamento nazionale un regime risarcitorio” in grado di soddisfare “l’esigenza di tutela del lavoratore evidenziata dalla Corte di giustizia”, il riferimento è all’Europa.
La Corte precisa poi che nel pubblico “il danno non è la perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato perché una tale prospettiva non c’è mai stata”. Il danno risarcibile è invece quello che deriva “dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”, ovvero da un abuso per cui si “può ipotizzare una perdita di chance”