Attualità

Riscaldamento globale: preoccupazione negli Usa. La nostra scuola informa i futuri cittadini?

Ora che organi di ricerca prossimi alla Casa Bianca hanno calcolato i danni del cambiamento climatico in termini monetari, l’opinione pubblica statunitense comincerà (forse) prendere sul serio la questione. Infatti il “Fourth National Climate Assessment Volume II: Impacts, Risks, and Adaptation in the United States” (Nca4), pubblicato dall’U.S, Global Change Research Program (Usgcrp), ha quantificato i danni che i contribuenti yankee dovranno pagare ogni anno: “appena” 500 miliardi di dollari all’anno.

«La salute e la sicurezza umana,» si legge nel rapporto, «la qualità della nostra vita e il tasso di crescita economica nelle comunità degli Stati Uniti sono sempre più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. Gli impatti a cascata dei cambiamenti climatici minacciano i sistemi naturali, costruiti e sociali su cui facciamo affidamento, sia all’interno che al di fuori dei confini nazionali. Negli ultimi 5 anni, gli sforzi della società per rispondere ai cambiamenti climatici si sono ampliati, ma non al livello necessario per evitare danni sostanziali all’economia, all’ambiente e alla salute umana nei prossimi decenni». Insomma, persino negli USA, patria del negazionismo climatico (il cui principale esponente è nientepopodimenoché il biondo presidente Donald John Trump) c’è finalmente preoccupazione per il problema.

Le tasche di zio Paperone

Ora che anche le tasche dei miliardari sono minacciate, dunque, qualcosa a livello politico potrebbe cominciare a muoversi per evitare la catastrofe. E qualcuno potrebbe porsi il problema di informare i cittadini fin dai banchi di scuola. Ma in Italia questo si fa in modo serio ed efficace? La Scuola prepara i cittadini di domani a conoscere il problema e i suoi possibili rimedi? Li prepara a pretendere dai politici di domani che se ne facciano carico?

Tanti progetti, poche conoscenze sulla realtà ambientale

I progetti di educazione ambientale sono tantissimi, è vero: ma riconoscerli nel mare magnum degli infiniti altri progetti ed “educazioni” è difficile come saper individuare un esemplare del rarissimo “thymychthys politus” nell’immenso Mar di Tasman. Educazione motoria, alla salute, alla tolleranza, al femminismo; educazione stradale, “glocale”; educazione all’accoglienza, alla multiculturalità; educazione animalista, alimentare; educazione alla cittadinanza. E via ridondando.

Discipline utilissime, senza alcun dubbio. Da nessuna di esse, però, dipende la sopravvivenza stessa della civiltà umana: la quale, invece, è strettamente legata alla consapevolezza che i cittadini di domani avranno del cambiamento climatico in atto.

Dati, non opinioni

Non è uno scherzo né un’esagerazione. Le specie viventi si stanno estinguendo a un ritmo impressionante, mai visto prima nella storia della Terra: siamo di fronte, dicono gli scienziati, alla sesta estinzione di massa nella storia del nostro pianeta. Quella precedente si verificò alla fine del cretacico, 65 milioni di anni fa, quando persino i dinosauri si estinsero, probabilmente causa di un brusco cambiamento climatico dovuto all’impatto di un enorme asteroide sulla superficie del nostro pianeta. Eppure, malgrado quel cataclisma spaventoso, il clima di allora non cambiò rapidamente come sta cambiando oggi: tanto che, secondo alcuni studi, i dinosauri impiegarono migliaia di anni ad estinguersi. Il meteorite sollevò una sterminata nube di pulviscolo, che si diffuse fino agli strati più alti dell’atmosfera, limitando enormemente l’irraggiamento solare, e causando un veloce raffreddamento della superficie terrestre, con un processo specularmente opposto all’attuale. Il mutamento climatico di quell’epoca remota però, per quanto veloce, dispiegò tutta la propria forza e i propri effetti nell’arco di migliaia di anni, non in un sessantennio come sta avvenendo ora. L’accelerazione che l’attuale modello di sviluppo ha impresso ai cambiamenti climatici antropogenici è incredibile, e forse non si era mai verificata prima nella storia della Terra. Ecco perché gli scenari pronosticati per i prossimi anni dai modelli matematici elaborati dagli scienziati (tutti quelli che scrivono su pubblicazioni scientifiche), e che tengono conto dei possibili livelli di concentrazione di CO2 relativamente allo sviluppo economico dei vari paesi della Terra, sono particolarmente allarmanti. Tanto da rendere preferibili alle orecchie dell’uomo comune le critiche dei “negazionisti del clima”, i quali (spesso iscritti nel libro paga delle multinazionali) ovviamente non riconoscono ai suddetti modelli matematici la capacità di riprodurre attendibilmente il sistema climatico in tutti i suoi processi fisici

Basterebbe volerlo

Ebbene, è in questa pericolosa contingenza che il sistema capitalistico mondiale mostra tutti i propri limiti, le proprie contraddizioni, la propria miopia. I (pochi) miliardari che dominano il pianeta (e cioè i maggiori responsabili della catastrofe ambientale in corso), se volessero, potrebbero investire una (piccolissima) parte delle proprie risorse nelle misure correttive che è possibile mettere in atto per rallentare il global warming e per tentare di controllarlo ed arginarlo (per esempio, con le energie rinnovabili). Inoltre parte della CO2ormai presente in atmosfera può essere “sequestrata” piantando milioni di alberi e curando il rimboschimento delle zone disboscate (F. D. Roosevelt fece piantare tre miliardi di alberi dal 1933 al 1942 nei soli Stati Uniti). Non si potrebbe finanziare questo rimboschimento con capitali pubblici (facendo guadagnare le aziende private che lo mettessero in atto)?

Ma lo vogliono?

Tutto però dipende dalla volontà politica dei singoli Paesi e dei singoli governi, nonché dagli impegni che gli stessi governi hanno preso nei confronti del capitalismo internazionale stesso: se il Fondo Monetario Internazionale, anziché aiutare gli Stati più poveri, li strozza, aumentando il divario tra la loro economia e quelle più ricche, i tantissimi bisognosi degli Stati più poveri continueranno a bruciare immense distese di foresta per ricavarne campi coltivabili e poter sopravvivere nell’immediato (come sta avvenendo da almeno sessant’anni nella foresta amazzonica e in tutte le ultime foreste equatoriali del pianeta).

Trasmetterne consapevolezza

Di tutto questo i docenti italiani (di tutte le discipline) devono essere a conoscenza; e devono trasmettere ai discenti conoscenza e consapevolezza, se vogliamo avere ancora speranza nel futuro.

 

Alvaro Belardinelli

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