Nonostante l’equiparazione fra i titoli di Accademia e quelli di laurea, i chiarimenti della legge 228/2012 e sentenze della Corte Costituzionale, i lavoratori assunti nel settore pubblico grazie a questi titoli rischiano di essere discriminati, mentre il messaggio Inps che fissa i paletti alla richiesta di “riscatto” annovera persino i vecchi diplomi universitari biennali, ma non i diplomi quadriennali dei corsi Afam.
Con la riforma della “legge Fornero” e la sostituzione ai fini pensionistici di “quota 100” (che poi, in realtà si dovrebbe chiamare “quota 38” in relazione agli anni di contributi versati, perché si potrebbe andare in pensione a 62 anni soltanto se già si hanno appunto 38 anni di anzianità di servizio) rientra in gioco la questione del riscatto del titolo di laurea (o di analogo diploma accademico Afam) che con la legge del governo Monti (il premier del “che noia il posto fisso” – per giustificare la frequente necessità per i giovani di cambiare una serie di lavori, quasi sempre precari peraltro – ma che sembra non annoiarsi affatto del “posto fisso” di senatore a vita conferitogli non si sa per quali meriti prima ancora che fosse nominato presidente del Consiglio dei ministri, tutt’altro che rimpianto!) si riduceva alla possibilità di aumentare il vitalizio percepito da pensionati (con l’importo della pensione ricalcolato sulla base di un montante contributivo più elevato) ma non aveva effetti sull’età di uscita dal mondo del lavoro, visto che, a regime, fu introdotta la pensione di vecchiaia a 67 anni, salvo aggiornamenti legati all’aspettativa di vita, quest’ultima calcolata peraltro a livello nazionale quando invece in diverse regioni è diminuita (e secondo attendibili fonti è complessivamente diminuita mediamente, nel recente passato, anche calcolando l’intero territorio nazionale), anche perché sono sempre più coloro che rinunciano per motivi economici alle cure necessarie e persino a nutrirsi adeguatamente.
Il limite di 67 anni per la pensione fu… un “primato” per gli italiani, unici nell’Unione europea; in Francia ad esempio attualmente si va in pensione a 62 anni e l’aspettativa di vita media è di circa un anno inferiore all’Italia, per le donne invece anche leggermente maggiore: quindi gli anni in cui (mediamente) godono i lavoratori francesi dell’assegno pensionistico, fra età del pensionamento e aspettativa di vita, è maggiore, e non di poco, rispetto all’Italia; viene il sospetto che i nostri lavoratori siano stati, come dire, …un po’ maltrattati, ovviamente con il beneplacito e persino con la “pressante raccomandazione” dell’Unione europea‼ Per essere corretti si dovrebbe tornare almeno alla media europea di uscita dal lavoro.
Beh, se rientra in gioco il riscatto della laurea per incidere sugli anni di servizio utili al pensionamento (aumentare l’anzianità contributiva maturata), allora è bene rimettere in evidenza un problema, innescato dall’Inps, che riguarda coloro che hanno seguito analoghi percorsi nelle Accademie di belle arti, nei Conservatori e nelle altre Istituzioni Afam.
L’Inps, infatti, con messaggio n. 15662/2010 (“Contributi da riscatto per il corso di laurea”) scrive che “Per quanto riguarda i diplomi rilasciati dagli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale possono essere ammessi a riscatto ai fini pensionistici – secondo le vigenti disposizioni in materia – i nuovi corsi attivati a decorrere dall’anno accademico 2005/2006, e che danno luogo al conseguimento dei seguenti titoli di studio: diploma accademico di primo livello; diploma accademico di secondo livello; diploma di specializzazione; diploma accademico di formazione alla ricerca (equiparato al dottorato di ricerca universitario).
Ma quali sarebbero le non meglio specificate “disposizioni in materia”? Da altre fonti che spiegano il suddetto messaggio Inps (attenzione: “messaggio”, perché poi vedremo se un “messaggio” può superare in punta di diritto una normativa e/o magari successive sentenze) si rileva che il regolamento di cui al D.P.R. 8 luglio 2005, n. 212, recante la disciplina per la definizione degli ordinamenti didattici, prevede che, in analogia al sistema universitario (la legge di riforma dei percorsi universitari 3+2 è del 1999: un primo ciclo di laurea triennale ed un percorso di due anni per conseguire una laurea specialistica, poi denominata “magistrale”, accanto ad alcuni corsi rimasti a ciclo unico, n.d.R. ), le istituzioni del settore artistico e musicale attivino corsi di diploma accademico di primo livello, di secondo livello, di specializzazione, di formazione alla ricerca e corsi di perfezionamento o master.
Pertanto, spiega il messaggio, sono ammessi a riscatto i nuovi corsi attivati a decorrere dall’anno accademico 2005/2006, che danno luogo al conseguimento dei titoli menzionati (non per i corsi di perfezionamento o master, comunque sembrerebbe neppure per quelli universitari).
Ma per i titoli universitari valgono ai fini del riscatto anche quelli conseguiti con il vecchio ordinamento (le vecchie lauree quadriennali, ad esempio). C’è da evidenziare innanzitutto che i diplomi accademici precedenti alla riforma apportata dalla legge n. 508 del 21 dicembre 1999 (Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati), in G.U. n. 2 del 4/1/2000, così come modificata dalla legge n. 268 del 22 novembre 2002, sono rientrati in Afam e che comunque già precedentemente, ai fini dei concorsi pubblici e per l’abilitazione all’insegnamento, erano stati equiparati alle lauree del vecchio ordinamento universitario (si veda la legge n. 341 del 19 novembre 1990, cosiddetta “riforma Ruberti”, dal nome dell’allora ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica).
Ma attenzione, a livello normativo c’è un altro importante tassello – peraltro successivo al “messaggio” Inps che pretende di regolare in maniera differente i contributi da riscatto tra vecchi titoli universitari e vecchi titoli accademici dell’Afam – che va letto con molta attenzione perché solo valutando comma per comma (fra quelli che citeremo) dà risposte per noi molto chiare: nella legge n. 228 del 24 dicembre 2012 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), all’art.1 comma 102 si legge: “ (…) per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso, i diplomi accademici di primo livello rilasciati dalle istituzioni facenti parte del sistema dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 21 dicembre 1999, n. 508, sono equipollenti ai titoli di laurea rilasciati dalle università appartenenti alla classe L-3 dei corsi di laurea nelle discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda di cui al decreto ministeriale 16 marzo 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 6 luglio 2007”.
E per i titoli di II livello il comma successivo della legge n. 228/2012 dispone: “Comma 103 – (…) i diplomi accademici di secondo livello rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102 sono equipollenti ai titoli di laurea magistrale rilasciati dalle università appartenenti alle seguenti classi dei corsi di laurea magistrale (si veda il comma 103 che le elenca, n.d.R.) di cui al decreto ministeriale 16 marzo 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 9 luglio 2007” (omissis).
Infine, collegando i già citati titoli conseguiti nel nuovo ordinamento con quelli precedenti, nel comma 107 si legge: “I diplomi finali rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento (secondo alcune interpretazioni restrittive il riferimento sarebbe effettivamente alle istituzioni facenti parte dell’Afam – infatti sono quelle citate appunto nel comma 102 – ma con conseguenze soltanto per i titoli dei percorsi post riforma: ma il dettato del comma 107, “al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento” non sembra lasciare dubbi sul fatto che si intenda proprio i corsi del vecchio ordinamento, n.d.R.), conseguiti prima dell’entrata in vigore della presente legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Successivamente, il 23 febbraio 2017 con l’approvazione del decreto Milleproroghe “il termine ultimo di validità ai fini dell’equipollenza, di cui al comma 107, dei diplomi finali rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102 è prorogato al 31 dicembre 2021”.
Ma l’Inps sembra ignorare la “Legge di stabilità” per 2013.
Platea ridotta, quella degli insegnanti coinvolti? Sino ad un certo punto, perché, limitandoci al settore artistico, oltre ai tanti docenti di scuola superiore che insegnano le materia di indirizzo del triennio (ma anche nel biennio) dei licei artistici vi sono insegnanti con titolo di Accademia di belle arti per le cattedre della classe A-01 (ex A025 e A028), cioè Arte e immagine, anche nella scuola secondaria di I grado.
E poi c’è un aspetto da considerare che ha dell’incredibile: nelle scuole superiori (licei artistici, compresi gli ex istituti d’arte confluiti appunto nei licei artistici) ci sono discipline insegnate da docenti che hanno il titolo quadriennale di Accademia oppure ad esempio la laurea quadriennale in Architettura: quindi, in tali casi (tutt’altro che rari) i primi non avrebbero diritto al “riscatto” degli anni di studio e i secondi sì? Certo, per l’Inps con il suo “messaggio” del n. 15662/2010 è così (eppure fanno lo stesso lavoro, nel settore pubblico, hanno quindi superato un concorso, hanno entrambi l’abilitazione e insegnano la medesima materia): una discriminazione inaccettabile e priva di qualsiasi buonsenso, paradossale ma soprattutto con rilievi di carattere costituzionale.
E in effetti la Corte Costituzionale si è già espressa a favore della possibilità di riscattare, a certe condizioni, gli anni di studio finalizzati al diploma di Accademia di belle arti. La sentenza che appare “decisiva” in tale direzione (ma ve ne sono altre, anche successivamente al D.P.R. 212/2005 che ha introdotto anche nelle istituzioni del settore artistico e musicale corsi di diploma accademico di I e di II livello) è la n. 52 del 9-15 febbraio 2000 (quindi ben prima del D.P.R. n. 212/2005, che detta disposizioni sul nuovo ordinamento dei percorsi Afam con l’introduzione di due livelli anche per l’Alta formazione artistica e musicale).
Infatti, in linea con le sentenze della Corte costituzionale, l’Inpdap con la nota 10/2006 ammette il riscatto del corso di studi svolto presso l’Accademia delle belle arti, ma poi l’Inps, con il “messaggio” del 2010 fa un’autentica “inversione di marcia”.
Ma di questo e della sentenza della Consulta, che tratteremo più ampiamente, parleremo in un prossimo articolo che riprenderà l’argomento del riscatto a fini pensionistici dei titoli Afam antecedenti alla riforma dei percorsi: insomma questo, per così dire, è un articolo “in progress” perché altrimenti la lunghezza sarebbe forse eccessiva, anche se per un vecchio (si fa per dire!) giornalista aduso alla carta stampata dividere in due parti un articolo è un po’ inconsueto, ma le “regole” del web a volte lo “impongono”. Pazienza…
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