Sta facendo discutere l’imminente decreto della ministra Giannini che estende a 60 scuole la sperimentazione delle superiori in 4 anni: non solo licei, ma anche tecnici e professionali.
Finora sono 11 gli istituti che stanno sperimentando il percorso in quattro anni, autorizzati dalla ministra Carrozza nel 2013. E prima ancora ci aveva provato Profumo del governo Monti, che aveva inserito l’obiettivo di “adeguare la durata dei percorsi di istruzione agli standard europei” nell’Atto di indirizzo per il 2013, manifestando sommo interesse per quei 1.380 milioni di euro risparmiati con la soppressione di 40mila cattedre nel giro di alcuni anni.
Adesso si parte con nuove sperimentazioni, 60 o forse di più. Gli obiettivi dei percorsi “condensati” in 4 anni si ispirano ad elevati standard di qualità e di innovazione. Il monte ore è lo stesso, ma cambiano profondamente gli aspetti organizzativi, didattici e metodologici: tecnologie didattiche innovative, attività laboratoriali, potenziamento del CLIL, alternanza scuola-lavoro, progetti di internazionalizzazione, curricoli personalizzati, lavoro a classi aperte, dibattito e discussione delle proprie tesi, o meglio debate, public speaking, learning week, flipped classroom e tutto il florilegio della didattica innovativa a cui siamo abituati.
La domanda è: cui prodest?
Tanto per cominciare, non ce lo chiede l’Europa. Gli studi terminano a 18 anni in meno della metà dei Paesi UE. Tra questi Spagna e Francia. Ben 15 paesi finiscono a 19 anni, tra cui Germania e Danimarca. Altri come la Finlandia offrono due opzioni.
È escluso che uscire un anno prima serva a trovare lavoro. La disoccupazione giovanile in Italia continua ad essere fra le più alte d’Europa, i diplomati si arrabattono coi vaucher oppure vanno all’estero. Guardando i dati del 2014, i giovani tra i 20 e i 34 anni diplomati e occupati erano appena il 45%, contro il 76% medio in Europa e il 90% in Germania.
A darci una chiave di lettura da esperto è Doriano Zordan, segretario Snals di Vicenza: “Ritengo che il tentativo del ministero sia puramente dettato da questioni economiche e non didattiche”.
Zordan ci spiega in una articolata analisi i vari motivi economici che spingono in questa “innovativa “ direzione: “Intanto, l’organico potenziato di 55.000 docenti introdotto dalla legge 107 è coperto finanziariamente per soli 3 anni. Questo vale anche per il bonus merito e per i 500 euro della card per la formazione del docente. In secondo luogo, la situazione dell’edilizia scolastica richiede continui e ingenti investimenti, anche per i laboratori visto che si punta su questi: meno alunni da tenere a scuola vuol dire anche meno aule e meno scuole da sistemare. Inoltre, nel 2018 ci sarà un’ondata di pensionamenti, che finora sono stati prorogati per effetto della riforma Fornero. Riducendo di un anno le superiori, si può procedere ad una forte contrazione di organico semplicemente non sostituendo il tour-over”.
Qualche beneficio è prevedibile per le università e gli ITS. I 18enni diplomati e senza lavoro andrebbero ad iscriversi al sistema di istruzione terziario. “Non dimentichiamo – continua Zordan – che l’università ha interesse ad acquisire un maggior numero di matricole in un momento di calo demografico e di abbandono degli studi per questioni economiche. Dal 2004 ad oggi abbiamo perso il 20% delle matricole. E non dimentichiamo gli ITS, che con difficoltà e costi esorbitanti cercano spazio nel sistema”.
Del resto anche la proposta di commissioni di docenti interni per gli esami di maturità è chiaramente finalizzata al risparmio, mentre la grande immissione in ruolo avvenuta nel 2015/16 era un atto dovuto dopo la sentenza della Corte europea.
Quindi più che di innovazioni didattiche nell’interesse delle giovani generazioni, le scelte del governo sembrano dettate da interessi diversi e soprattutto dalla logica dell’economia di spesa.
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