Attualità

Rissosità e intolleranza sul web: come la scuola può rieducare alla discussione costruttiva

Esprimere opinioni sui social significa spesso trovarsi aggrediti da sconosciuti che, travisando le parole altrui, usano condannarne sommariamente l’autore, additandolo al pubblico ludibrio per colpe immaginarie, che mai egli si sarebbe sognato di commettere. Eppure la parola democrazia dovrebbe significare possibilità di confrontare opinioni senza aggredire né essere aggrediti: giacché nel confronto s’impara e si cresce.

La fine del dialogo democratico?

Purtroppo, però, negli ultimi 40 anni il dialogo democratico sembra perduto, disperso anzitutto tra le onde dell’oceano TV, ove i talk show sono risse, che aumentano audience e introiti pubblicitari: non contrastate, peraltro, dai format televisivi, bensì ricercate e favorite.

A parlare di global warming, ad esempio, si invitano sì i climatologi (unici che conoscano l’argomento nella sua complessità), ma anche i negazionisti: i quali, pur facendo altri mestieri, osano negare i dati scientifici, e spesso sono invitati proprio per la loro aggressività, per l’attitudine a “buttarla in caciara” e ad alzare gli ascolti provocando litigi.

Dalle risse televisive a quelle dei social media

La tendenza nacque negli anni ‘80, quando alcuni canali TV (privati) si trasformarono in canili ove si abbaia contro l’interlocutore e lo si insulta barbaramente. Tendenza rinforzata negli anni ‘90 grazie alle leggi elettorali maggioritarie: le quali, appiattendo il panorama politico in una prospettiva bipolare, hanno abituato le folle a schierarsi acriticamente (o a ritrarsi schifate nell’astensionismo). Semplificato e impoverito il modo comune di pensare ed esprimersi; perduta l’abitudine alla complessità e al dilemma; semplificazioni infantili e slogan da stadio eretti a barricate.

Il web, nell’ultimo quarto di secolo, ha ulteriormente falcidiato il rispetto per l’Altro. Sui social media (ma ormai anche per strada) si polarizzano tifoserie contrapposte su qualsiasi tema. Troppi presumono di avere il monopolio del bene e additano chi dissenta, quasi fosse lincarnazione del male. Tanto che l’aggressività sui social è in progressivo aumento.

Allenare gli studenti al dialogo costruttivo

Bruno Mastroianni insegna Teoria e pratica dell’argomentazione digitale all’Università di Padova, ed è social media strategist nonché filosofo (“sedicente”, come ama autodefinirsi sul proprio profilo X). Illuminanti le sue parole nella trasmissione radiofonica Giù la maschera, in onda il 26 ottobre scorso su Rai Radio 1. Secondo Mastroianni, quando siamo tutti connessi avvertiamo gli altri come vicini e addosso a noi, sentendoci minacciati dalle differenze e ponendoci in difesa, come in un autobus superaffollato. L’abitudine a polarizzarsi porta a schierarsi, esprimendo tale “militanza” in forma rapida e irriflessiva, con like e simili, che accrescono a loro volta la polarizzazione tra fazioni contrapposte.

Per combattere nella pratica scolastica tale tendenza, occorre aumentare le occasioni di discussione, per indurre a comprendere le proprie capacità e debolezze comunicative e dialettiche.

Un dito indice perennemente puntato ad accusare

Diversamente, si rimarrà intrappolati nella situazione descritta da Guia Soncini nel suo L’era della suscettibilità: un mondo distopico in cui l’equivoco è facilissimo, perché tutti interpretano le parole altrui in modo paranoico, e paranoicamente rispondono attaccando, in un ciclo infinito che si autoreplica compulsivamente. Perciò occorre realizzare e mettere a frutto nell’educazione la comprensione di quanto sperimentiamo nelle discussioni.

Le (poche) discussioni che funzionano sono momenti “di grazia” unici e irripetibili; al contrario, le (tantissime) discussioni che falliscono sono caratterizzate sempre dagli stessi meccanismi: attacchi personali e/o dito puntato contro intere categorie di persone (“Voi professori, voi giornalisti…”). Dito che può puntare verso l’alto accusando le azioni vergognose dei “potenti” (o creduti tali); o verso il basso, travisando volutamente le parole dell’interlocutore.

Riabituare (e riabituarsi) al dialogo con persone in carne ed ossa, occhi negli occhi

Al contrario — secondo Mastroianni — per far funzionare il dialogo bisogna agganciarsi a quanto può permettere di progredire nella discussione. La quale è attività pratica, non teorica: per poterla praticare bisogna allenarsi! Nella Scuola (come nel lavoro e nella vita quotidiana), serve far pratica di discussione. Anche perché oramai tutti, anziché parlare e guardarsi negli occhi, fissano lo smartphone (mentre la politica spinge alla polarizzazione estremizzata).

Diversamente, il mondo reale si separerà da quello virtuale, e tutti vivranno solo in quest’ultimo, incapaci di confrontarsi dialogando per imparar l’uno dall’altro. Già troppi siedono intorno al tavolo del ristorante e fissano il cellulare, inabili a reggere lo sguardo altrui. Tutto ciò aumenta l’accentuata inclinazione alla dissonanza cognitiva.

Per non rifugiarsi nella distanza

Infatti, sostiene Mastroianni, lo schermo aiuta e fa sentire protetti, con un effetto disinibizione: permette che anche le parole di un timido giungano agli altri senza la presenza fisica di chi le produce. Parlare in presenza davanti a persone fisiche è più impegnativo che scrivere su uno schermo.

Il virtuale ha effetti reali sul comportamento umano: nefasti a volte, ma talora anche virtuosi: facilita la critica (fruttuosa in democrazia) verso chi comanda; però genera anche la propensione a rifugiarsi nella distanza.

Quasi tutti i genitori danno il telefono ai bimbi per tenerli buoni, alienandoli dalla realtà; dovrebbero invece accompagnarli nell’uso dello smartphone come si fa con la bici: per gradi, insegnando  loro a gestire se stessi nel rapporto col mezzo.

Alvaro Belardinelli

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