Qualora dovesse tornare un periodo di lockdown, dovuto al Covid-19 o ad altri virus, i docenti dovranno organizzarsi per fornire delle lezioni a distanza per un minimo di ore che va dalle 2 alle 4 al giorno, a seconda dei cicli scolastici.
Lo prevedono le Linee guida per la Didattica Digitale Integrata, nella parte dedicata alle lezioni minime obbligatorie qualora alunni e docenti fossero di nuovo costretti a rimanere a casa, come accaduto negli ultimi tre mesi dell’anno scolastico ormai passato.
In base a quanto disposto nell’ultima bozza del documento, presto all’esame del Consiglio superiore della pubblica istruzione per il necessario parere (comunque non vincolante), sarebbero imposte non meno di 10 ore settimanali di Dad per le prime classi della scuola primaria, 15 ore per le altre classi della primaria, così come per le scuole medie. Mentre alle superiori sarebbero almeno 20 ore a settimana da realizzare a distanza via computer.
Nel documento si precisa anche che dovranno essere tutelati i bisogni educativi speciali e le famiglie dovranno essere costantemente informate.
Nessun riferimento, invece, viene fatto alla necessità di regolamentare le lezioni a distanza, come chiesto in più occasioni dai sindacati, collocandole all’interno del contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria.
A questo punto, appurato che il Consiglio di Classe dovrà probabilmente assicurare la didattica a distanza per non meno di 10 ore settimanali, rimane da capire cosa si intenda per lezioni a distanza.
A questo proposito riproponiamo la nota Ministeriale n. 388 del 17 marzo scorso, a firma del capo dipartimento Marco Bruschi che faceva chiarezza proprio su questo punto: nel documento si specificava che “nella consapevolezza che nulla può sostituire appieno ciò che avviene, in presenza, in una classe, si tratta pur sempre di dare vita a un ‘ambiente di apprendimento’, per quanto inconsueto nella percezione e nell’esperienza comuni, da creare, alimentare, abitare, rimodulare di volta in volta”.
Il capo dipartimento ha quindi focalizzato le diverse esperienze possibili che rappresentano delle forme di didattica on line: “Il collegamento diretto o indiretto, immediato o differito, attraverso videoconferenze, videolezioni, chat di gruppo; la trasmissione ragionata di materiali didattici, attraverso il caricamento degli stessi su piattaforme digitali e l’impiego dei registri di classe (ovviamente elettronici n.d.r.) in tutte le loro funzioni di comunicazione e di supporto alla didattica, con successiva rielaborazione e discussione operata direttamente o indirettamente con il docente, l’interazione su sistemi e app interattive educative propriamente digitali: tutto ciò è didattica a distanza”.
Come già indicato con la precedente nota 279 dell’8 marzo, nella parte intitolata proprio “Attività didattica a distanza”, il capo dipartimento del dicastero di Viale Trastevere ha tenuto a specificare che al docente non basta inviare ai propri alunni dei materiali o delle dispense on line per dire che sta attuando la didattica on line.
Ecco, perchè a supporto del registro elettronico, i docenti hanno bisogno di utilizzare una delle piattaforme telematiche create per questo scopo.
Ciò significa, ha sottolineato il dottor Marco Bruschi, che “il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento o restituzione da parte del docente, dovranno essere abbandonati, perché privi di elementi che possano sollecitare l’apprendimento”.
Fermo restando la centralità dei “momenti di relazione tra docente e discenti, attraverso i quali l’insegnante possa restituire agli alunni il senso di quanto da essi operato in autonomia”, è quindi evidente che per il Ministero praticare didattica a distanza non significa solo svolgere lezioni su piattaforma on line in modalità sincrona.
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