Quasi 40mila nuovi contagi di Covid al giorno non bastano all’Istituto superiore di Sanità per obbligare studenti e docenti ad indossare la mascherina: al ritorno in classe, tra un mese, la protezione del volto sarà obbligatoria solo per lavoratori “e alunni che sono rischio di sviluppare forme severe di COVID-19” e attraverso mascherine FFP2: quindi, le porteranno i “fragili” e chi ha il raffreddore (per questi ultimi anche solo la chirurgica). Le disposizioni sono previste dalle indicazioni strategiche per limitare la diffusione dell’infeziione da Covid-19 in ambito scolastico pubblicate nella serata del 5 agosto (per i bambini della scuola dell’infanzia si attendono disposizioni a parte).
Per prevenire i contagi a scuola, quindi, rimangono in vita le disposizioni più blande: “igiene delle mani”, “sanificazione ordinaria (periodica)” e “ricambi d’aria frequenti”.
Considerando che l’igiene delle mani e dei locali risultano ormai disposizioni che possiamo considerare ordinarie, è possibile asserire sin d’ora, con sufficiente certezza, che durante le lezioni scolastiche da settembre ci si affiderà con convinzione al protocollo “finestre aperte”. Anche in inverno, come è accaduto negli ultimi due anni scolastici.
Solo in caso di rialzo brusco dei contagi – come paventato in giornata dal sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, che ha parlato di “virus che in autunno tornerà ad alzare la testa” – potranno tornare disposizioni anti-Covid più rigide, tra le quali figurano il “distanziamento di almeno 1 m (ove le condizioni logistiche e strutturali lo consentano)”, quindi di nuovo raccomandato, uso obbligatorio di “mascherine chirurgiche, o FFP2, in posizione statica e/o dinamica (da modulare nei diversi contesti e fasi della presenza scolastica)”, “somministrazione dei pasti nelle mense con turnazione” e “consumo delle merende al banco”.
Rimarrà in vita il referente Covid d’istituto, che tanto è servito nell’ultimo biennio scolastico: dovrà, soprattutto, verificare i casi di alunni o di personale potenzialmente affetti da Covid.
Sempre l’Istituto superiore di Sanità ha stabilito che non potranno entrare a scuola allievi e docenti ovviamente positivi al virus, ma anche con “sintomatologia compatibile con COVID-19, quale, a titolo esemplificativo: sintomi respiratori acuti come tosse e raffreddore con difficoltà respiratoria, vomito (episodi ripetuti accompagnati da malessere), diarrea (tre o più scariche con feci semiliquide o liquide), perdita del gusto, perdita dell’olfatto, cefalea intensa”.
E non potranno entrare nei locali scolastici nemmeno coloro che avranno la “temperatura corporea superiore a 37.5°C”.
Casi particolare a parte, sostanzialmente, se il virus non dovesse tornare ad espandersi, come tutti speriamo, gli esperti dell’Iss chiedono a otto milioni di alunni e a quasi un milione di insegnanti di affidarsi quindi principalmente al “ricambio frequente dell’aria”.
Non una riga viene spesa dagli esperti di epidemie, invece, sulle modalità automatizzate di rinnovare l’aria nelle aule: dei famigerati aeratori meccanici non c’è traccia nel documento ufficiale dell’Iss.
Eppure diverse autorità e istituzioni, come la commissaria europea alla salute Stella Kyriakides, che ha intimato ai Paesi membri di rischiare nuove chiusure, hanno indicato proprio negli aeratori la strada migliore per difendersi dal Covid o da altri generi di virus.
Certamente, l’impegno economico per la loro installazione nelle 370 mila classi italiane non sarebbe stato da poco: una cifra, probabilmente, vicino al miliardo di euro. Più altri fondi per la manutenzione periodica, considerando che la mancata pulizia e verifica dei filtri arriverebbe addirittura a favorire i contagi.
Rimane, comunque, l’amarezza per aver passato mesi ad indicare nei sistemi meccanici di trattamento dell’aria delle classi una soluzione auspicabile, ma nello stesso tempo di difficile attuazione.
Anche la politica ci ha messo il suo: 150 milioni di euro (insufficienti) sono stati finanziati con uno dei vari decreti Sostegni, tante promesse sono arrivate anche da rappresentanti del Governo Draghi, ma alla fine ci ritroviamo con appena il 3% delle classi dotate dei famigerati sistemi di ricambio d’aria automatici.
Tanto che, alla luce del poco interesse dell’Istituto superiore di Sanità nei confronti di questi dispositivi, i 150 milioni potrebbero forse pure essere dirottati per altre necessità emergenziali.
Ma è anche vero che mettere già la mascherina al ritorno in classe i primi di settembre – mentre sui mezzi di trasporto, nella settore sanitario e nelle Rsa sarà obbligatoria almeno fino al 30 settembre – a più di qualcuno potrebbe non sembrare la decisione più saggia.
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