I lettori ci scrivono

Ritorno a scuola, trasporti in alto mare

Il nuovo DPCM, pubblicato il 7 agosto nel sito del Governo, riporta le “linee-guida per il trasporto scolastico dedicato” (all. 16). In esse si parla di tutto, fuorché della loro praticabilità e delle responsabilità di chi sarà preposto all’attuazione. In particolare, nei quattro punti principali si legge:

1) La salita degli alunni avverrà evitando alla fermata un distanziamento inferiore al metro e avendo cura che gli alunni salgano sul mezzo in maniera ordinata, facendo salire il secondo passeggero, dopo che il primo si sia seduto. Per la discesa dal mezzo dovranno essere seguite procedure specifiche, per cui dovranno scendere, uno per uno, evitando contatti ravvicinati, prima i ragazzi vicino alle uscite; gli altri avranno cura di non alzarsi dal proprio posto, se non quando il passeggero precedente sia sceso, e così via.
– Perché il Governo non spiega nei dettagli in quale maniera centinaia di studenti ammassati sui marciapiedi e sui pulmann, soprattutto a fine-lezioni, potranno stare a distanza di un metro l’uno dall’altro, come soldatini, e potranno salire e scendere uno alla volta, dopo che i precedenti si saranno seduti o avranno lasciato il mezzo? E soprattutto chi dovrà regolare tali movimenti? Gli studenti stessi? Gli autisti? Nessuno? Chi è che dovrà “evitare”, “avere cura” e far “seguire le procedure”?

2) La distribuzione degli alunni a bordo sarà compiuta anche mediante “marker” segnaposto, in modo tale da garantire il distanziamento di un metro all’interno dei mezzi, limitando così la capienza massima. È consentita la deroga rispetto alla distanza di un metro nel caso in cui sia possibile l’allineamento verticale degli alunni su posti singoli e sia escluso il posizionamento c.d. faccia a faccia.
– In pratica ci stanno annunciando che se non sarà possibile limitare la capienza massima dei mezzi di trasporto, gli studenti potranno stare allineati verticalmente, cioè in piedi, dandosi le spalle: posizione inefficace, considerato che coloro che si posizionano schiena contro schiena in un’improbabile coreografia, pure a gruppi di quattro, non possono non ritrovarsi automaticamente faccia a faccia con altri.

3) È consentita la capienza massima del mezzo di trasporto scolastico dedicato nel caso in cui la permanenza degli alunni nel mezzo nella predetta modalità di riempimento non sia superiore ai 15 minuti. Pertanto dovrà essere quotidianamente programmato l’itinerario del percorso casa-scuola-casa, in relazione agli alunni iscritti al servizio di trasporto scolastico dedicato, avendo cura che lo stesso itinerario consenta la massima capacità di riempimento del mezzo per un tempo massimo di 15 minuti.
– È raro, se non impossibile, che lo studente che sale sul mezzo di trasporto che lo condurrà a scuola e lo riporterà a casa compia un percorso della durata massima di 15 minuti: tanto varrebbe andare a piedi. Il problema non riguarda solo i pendolari, ma anche i ragazzi delle grandi città o aree metropolitane di tutta Italia che ogni giorno devono fare i conti con il traffico, in particolare in un’ora di punta, qual è quella coincidente con l’inizio e la fine delle lezioni. La capienza massima, dunque, sarà sempre abbondantemente superata, senza che qualcuno possa impedirlo. E come al solito ci ritroveremo autobus e pullman strapieni, con una confusione totale. Per non parlare di quei 15 minuti, durante i quali il covid-19 dovrebbe starsene buono e zitto: in attesa di un gong? Forse chi ha redatto le linee-guida ha confuso i 15 minuti con i 15 giorni di quarantena?

4) Il Comune, sentite le Istituzioni scolastiche, sulla base delle indicazioni condivise con la Regione, in presenza di criticità rispetto al numero di mezzi destinati al trasporto scolastico dedicato, in relazione a un elevato numero di studenti iscritti al servizio, determinerà le fasce orarie del trasporto, non oltre le due ore antecedenti l’ingresso usuale a scuola e un’ora successiva all’orario di uscita previsto.
– Anticipare l’orario dei trasporti fino a due ore, rispetto all’ingresso a scuola, significa far partire da casa i primi ragazzi tra le 6:15 e le 6:30 del mattino. Mentre posticiparlo fino a un’ora, rispetto al termine delle lezioni, non è sufficiente per consentire ai mezzi di trasporto di effettuare più corse. Volendo stare dietro al Governo, l’unica soluzione possibile in tal senso, almeno alle Superiori (per non mettere in difficoltà i genitori dei più piccoli), sarebbe la divisione dell’orario scolastico in due parti, una al mattino e una al pomeriggio, di modo che – a settimane alterne – metà della classe frequenterebbe le lezioni di mattina, mentre l’altra metà le seguirebbe online. E viceversa di pomeriggio. Ma preventivare doppi turni, per viale Trastevere vorrebbe dire scontrarsi, in primis, con i sindacati; che a tutto pensano, tranne che al disagio più importante: il rischio malattia.

Se è questo il modo di affrontare il problema del trasporto scolastico, mettendo in campo frasi e teorie artificiose e inconcludenti, è inevitabile che a settembre i nostri ragazzi e i genitori non potranno stare affatto tranquilli; tanto più che nessuno si è ancora preso la briga di verificare, chiedendo alle famiglie, quanti alunni usufruiranno dei mezzi, e da dove, e quali aziende di trasporto pubblico e privato saranno in grado di garantirne la copertura. Il coinvolgimento dei privati è imprescindibile perché tutti sappiamo (a Palazzo Chigi fanno finta di non saperlo?) che i pubblici già non bastano in condizioni normali: figuriamoci con una pandemia in corso.
L’impressione è che il Governo non voglia occuparsi appieno del problema perché le violazioni al distanziamento e alle protezioni, fuori e dentro i mezzi di trasporto, sarebbero ripetute e costanti: il che, di fatto, impedirebbe agli studenti di recarsi a lezione, costringendo il Ministero a chiudere nuovamente le scuole. In un Paese responsabile l’emergenza, l’educazione alla legalità, la didattica, ecc. iniziano e finiscono non quando gli alunni varcano gli ingressi delle aule, ma quando escono dalle loro case e vi rientrano.
Chissà se la patata bollente è stata lasciata nelle mani dei Comuni, delle Regioni e, perché no, dei dirigenti scolastici, visto che a Roma sanno bene come lavarsele…

Giovanni Panunzio

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