I lettori ci scrivono

Ritorno alla seconda prova? Sì, ma a quella tradizionale!

Gentile Ministro,

sebbene le indicazioni sulla seconda prova dell’esame di Stato non siano state ancora ufficializzate, avverto la necessità di inoltrarLe semplici riflessioni su quanto letto finora.

Gran parte comunità educante è consapevole del ruolo che lei svolge, della difficoltà di conciliare ascolti e vissuti differenti che, in estrema sintesi, vedono contrapposti studenti “abolizionisti” e parte dell’opinione pubblica che invocava il ripristino della prova scritta di italiano.

Lecite le posizioni di ciascuna parte: l’importanza delle competenze nella lingua madre, dell’espressione del sé creativo e tanto altro ancora, ma anche dubbi e paure di chi ha sperimentato una didattica “straordinaria” che oramai si protrae, con vicende e giudizi alterni, dal febbraio 2020. Già, il cuore del triennio scolastico dei giovani maturandi!

La stessa comunità educante, inoltre, era anche pronta ad accogliere il ritorno alla seconda prova, quella che fu nel 2019: prova innovativa e interdisciplinare (preceduta da adeguate simulazioni nel corso dell’anno) che collegava e integrava saperi diversi. E, invece…

Non mi ripeterò su quanto già sostenuto dal CSPI, ma sommessamente mi chiedo e le chiedo: qual è il valore formativo di una prova autoreferenziale che vede il docente di indirizzo soggetto e oggetto della stessa?

Quale è il valore educativo di una prova che somiglia ad “braccio di ferro” tra associazioni studentesche e controparte Ministeriale, se non svilire senso e contenuto della prova stessa?

Semplificazioni generalizzate hanno la stessa ricaduta su tutti gli studenti?

Nell’ultimo libro, Mastrocola e Ricolfi descrivono come riduzioni e facilitazioni didattiche finiscano per allargare il divario tra le disuguaglianze.

Proprio così, gentile Ministro, con l’ulteriore declassamento, anche in termini di punteggio, la seconda prova perderà di smalto e significato, anche in termini di preparazione e studio, allargando così il divario tra chi avrà l’opportunità di colmare in seguito la perdita di apprendimenti e chi non potrà.

Perché allora procedere ostinatamente, con commistioni, raddrizzamenti e improvvisazioni che non fanno bene a nessuno? Sinceramente, mi sarei aspettata di più: i docenti italiani erano e sono pronti ad affrontare un esame di Stato serio, perché, nonostante le infelici dichiarazioni di qualche suo alleato di governo, hanno sempre affrontato il lavoro con passione e dedizione, con poche gratificazioni e tante responsabilità.

Ma forse, gentile Ministro, anche questa volta, si sta agendo l’ennesima trasformazione scolastica senza coinvolgimento attivo dei docenti che nel processo decisionale sono divenuti orami orpello o un nostalgico ricordo. Occasione mancata!

Un’ultima considerazione, gentile Ministro, ma di ordine linguistico: nel 1997, un suo predecessore introdusse la dizione “Esame di Stato conclusivo del corso di studio di istruzione secondaria superiore”. Attraverso quell’esame si verificavano e certificavano conoscenze, competenze e capacità di tutti gli studenti italiani, instillando anche quel sentimento di fratellanza e di appartenenza che ci faceva sentire più uguali e vicini anche a 1000 km di distanza. E’ cambiato qualcosa?

Modesta Abbandonato

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