Ormai è chiaro: sul rientro a scuola c’è una contrapposizione: da una parte il Governo, con i ministeri dell’Istruzione e della Salute in testa, dall’altra gli enti locali, in particolare i governatori e i sindaci. Le posizioni negli ultimi giorni si sono sempre più delineate.
Con il crescere dei contagi da Covid-19, infatti l’esecutivo Draghi ha continuato a tirare dritto, mantenendo la linea della presenza a scuola e allentando anche le misure in presenza dei contagi. La linea governativa è chiara: le vaccinazioni in crescita, il 95% del personale (chi non lo ha rimane a casa), un’alta percentuale tra gli studenti di medie e superiori e crescente anche nella scuola dell’infanzia e primaria, sono più che sufficienti per garantire la sicurezza tra i banchi.
Di diverso avviso si dicono invece sempre più presidi, associazioni, sindacati e politici. E diversi primi cittadini e presidenti di Regione, che sulla base delle norme dell’autonomia territoriale impongono ordinanze di chiusura e di DaD. Sono decisioni che per il Governo, però, vanno oltre le competenze degli enti locali: tanto che da Palazzo Chigi delle fonti autorevoli già parlano di impugnazione dei provvedimenti.
La mattina dell’8 gennaio, la contrapposizione è arrivata quasi allo scontro. Al Corriere della Sera, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha detto che bisogna “tutelare il più possibile la presenza e, con essa, i nostri ragazzi e i bambini che vengono da due anni difficili”, “che hanno segnato il loro apprendimento”. L’intenzione del governo, ha aggiunto il ministro “è procedere con i calendari già definiti”, e dunque nessun recupero delle lezioni a giugno.
Il numero uno del Mi è tornato a dire che “nessun governo nazionale dei grandi Paesi europei, come Francia o Spagna, ha chiuso le scuole“, che “devono essere le ultime a chiudere”.
E ancora: “il ricorso massiccio alla dad, oggi, come se i vaccini non ci fossero, sarebbe un errore”, ripete Bianchi.
Per il ministro, quindi, la profilassi è più che sufficiente per mantenere le lezioni in presenza. “Rispetto all’anno scorso c’è”, spiega, “una grande differenza: il vaccino”, che è “lo strumento per tutelare la scuola, per un ritorno alla normalità”. E dunque a tutti chiede “un atto di responsabilità”, ovvero: “acceleriamo la vaccinazione”.
Sulla decisione opposta presa dal governatore Vincenzo De Luca, Bianchi dice che “la legge è molto chiara: permette ai presidenti di Regione di intervenire solo in zona rossa e in circostanze straordinarie. Queste condizioni oggi non ci sono”.
Il ministro conferma, quindi, che vi sono “gli estremi per impugnare quell’atto”.
Le parole del ministro dell’Istruzione sembrano un avvertimento anche agli altri governatori, e pure ai sindaci, che stanno meditando l’imposizione di chiusure nelle prossime ore.
La situazione, quindi, sta diventando complicata. Lo dice anche il presidente della Liguria Giovanni Toti: intervistato da La Repubblica, Toti dice che “è impossibile pensare di non riaprire la scuola, un’istituzione fondamentale del Paese, e tenere accessibile tutto il resto”, ma le modalità per farlo non convincono il governatore.
Il governatore parla di eccesso di burocrazia. Con le quarantene da fare scattare in base all’età degli alunni, come previsto dal decreto legge approvato dal CdM il 5 gennaio e appena giunto in Gazzetta Ufficiale, “trasformeremo gli insegnanti e i presidi in dei cassazionisti. Le regole da seguire sono troppo complicate”.
“Ciò che non viene bloccato dal coronavirus rischia di essere fermato da una lunga serie di regole”, “che in gran parte tra l’altro non sono applicate”.
Secondo Toti, per aprire il Paese bisogna “considerare il Covid come una malattia che circola e quindi bisogna smettere di seguire gli asintomatici e dedicarci solo ai sintomatici”. Gli insegnanti contagiati “saranno sicuramente un problema”, ammette il governatore, “ma sono tutti vaccinati, quindi speriamo che il contagio sia circoscritto almeno in parte”.
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