A protestare in queste settimane, e la cosa non può non stupire, sono stati i genitori, mentre i nostri ragazzi, a parte alcune eccezioni, si sono limitati a subire la situazione che stanno vivendo.
Cioè sono stati quasi esclusivamente i gruppi di genitori che hanno alzato la voce per il ritorno a scuola, con tutte le cautele che conosciamo, ma a scuola in presenza.
Allora ho provato, in forma empirica, a sondare, tra i contatti che ho conservato, l’opinione di alcuni studenti delle superiori, per capire cosa ne pensano della DaD e della vita in casa di questi mesi.
Le risposte sono state diverse, come era giusto attendersi.
Per alcuni, soprattutto studenti liceali, la DaD è stata ed è una esperienza positiva, che ha aperto nuove strade, ed esperienza che può continuare sino alla fine della scuola.
Del resto, ha aggiunto Anna, con i social le relazioni riusciamo a coltivarle, anche se, magari, solo con un ristretto gruppo di compagni e amici.
Poi ci sono quelli, la gran parte, che confessano di non farcela più, che non ne possono più della DaD, per cui sono felici di ritornare a scuola, di riprendere la vita ordinaria, fatta di alzate presto al mattino, di bus da prendere di corsa e di chiacchierate prima di entrare in classe. Per non parlare della vita di classe.
Rispettate nel concreto i protocolli di sicurezza, chiedo?
Sì, rispondono, ma i contatti comunque ci sono, nel senso che è impossibile, ad esempio, rispettare il distanziamento. Sono cioè consapevoli che l’unica soluzione è la vaccinazione di massa.
Infine ci sono quelli che preferiscono non rispondere, che si trincerano dietro a parole incerte, che ammettono di non amare questo modo di fare scuola.
Nelle parole di tutti questi ragazzi ho percepito però anche dell’altro.
Anzitutto belle parole su quasi tutti i loro docenti e presidi, nel senso che questi stessi ragazzi hanno compreso benissimo se i loro presidi e docenti sono o meno favorevoli al ritorno in classe.
In seconda battuta, ho chiesto ancora: se nelle loro scuole è presente e pressante un’ansia esistenziale che sta segnando la loro vita: sì, l’ansia è forte, tanto che alcuni (presidi, docenti, personale, genitori) predicano la sicurezza al 100%, mentre loro stessi, per lo più, si rendono conto che nella vita questa certezza assoluta non esiste. Altro modo per dire che i ragazzi di oggi, al di là di alcuni loro atteggiamenti esuberanti, hanno dunque compreso che ci dobbiamo tutti educare a comportamenti corretti sia con l’uso delle tecnologie sia nelle varie relazioni.
Le chiusure totalizzanti, cioè, non possono per loro essere una soluzione permanente, perchè, alla fin fine, vengono penalizzati coloro che si comportano in modo corretto, mentre dovrebbero essere più evidenti le forme di vigilanza.
E alla domanda precisa sui propri compagni che non sentono o non vedono più, cioè che si sono defilati o che stanno vivendo male questa reclusione in casa, la risposta, per i più, ha portato al riscontro di situazioni difficili, che andrebbero seguite da più vicino, e che solo col contatto diretto possono essere in qualche modo affrontate e risolte. Nei casi più complicati, con l’aiuto di specialisti. Fragilità cioè ce ne sono, e non poche, secondo loro.
Per la gran parte, dunque, il ritorno in classe è una bella notizia.
Resta la domanda che non mi sono sentito di rivolgere: se, secondo loro, questi mesi di DaD hanno reso più fragile e deficitario il loro percorso culturale, oltre il tema della socialità. E se sono disponibili ad andare a scuola anche in estate, magari sino a tutto luglio, per recuperare parte del lavoro non fatto.
Non ho rivolto questa domanda per lasciare a loro il gusto di assaporare il rientro in classe.
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