A meno di un mese dal ritorno in classe degli studenti delle superiori, anche se turno un quarto dovrà continuare a fare DaD, ci si è dunque affidati ai Prefetti per evitare che nei grandi centri si torni agli assembramenti su bus, pullman e metropolitane che abbiamo vissuto tra la fine di settembre e quella di ottobre (fino al ritorno comune alle lezioni in ‘remoto’): l’alta aspettativa è stata espressa anche da Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, che tra i punti punti imprescindibili per tornare fare lezione in presenza ha menzionato “trasporti, monitoraggio sanitario e possibilità di assistenza da parte delle Asl“. Nel frattempo, però, anche altre istituzioni interessate al problema si muovono: si tratta, scrive La Repubblica, di Inail e Istituto superiore di sanità che hanno redatto un nuovo documento tecnico “sulla gestione del rischio di contagio da Sars-Cov-2 nelle attività correlate all’ambito scolastico con particolare riferimento al trasporto pubblico locale”.
Inail e Iss si accingono a chiedere alle scuole perché facciano pervenire informazioni su quali mezzi pubblici utilizzino i loro studenti per recarsi a scuola, così da fornire informazioni utili ai Comuni.
In questo modo si forniranno informazioni utili ai “tavoli di coordinamento presso le Prefetture in coerenza con la normativa vigente”, così da potenziare i mezzi di trasporto dove effettivamente servono: in modo mirato.
Sempre La Repubblica sottolinea che “la gestione di questi problemi dunque non è più in capo alle Regioni, con le quali l’estate scorsa il Cts ha a lungo dibattuto sul tema percentuale di occupazione dei mezzi pubblici, ma si lavora a livello provinciale”.
L’obiettivo ultimo è quello, quindi, si “sapere dai ragazzi, specialmente delle superiori, come si spostano”, così da “permetterebbe, ad esempio, di chiedere un autobus in più a una certa ora all’azienda di trasporto pubblico”.
Il documento Inail-Iss, sulla falsa riga delle indicazioni del Comitato tecnico scientifico, punta a capire dove è necessario “differenziare gli orari di accesso a scuola rispetto alle fasce orarie di punta, a potenziare l’offerta del trasporto pubblico, magari attraverso convenzioni con i privati, di aumentare “il personale dedicato alle stazioni di scambio (tra metropolitana, ferrovie e capolinea bus) più critiche per afflusso”, di incentivare la mobilità sostenibile “anche mediante accordi e/o sovvenzioni specifiche per l’utenza scolastica”.
Ad esempio si potrebbe usare il bike sharing. Andranno comunque responsabilizzati gli utenti, “per garantire il distanziamento sociale, le misure igieniche, nonché per prevenire comportamenti che possano aumentare il rischio di contagio”.
Inail e Istituto superiore di sanità puntano quindi ad affrontare il problema degli assembramenti fuori gli istituti, che si attuano “nei luoghi di ritrovo in entrata e in uscita dalla scuola”: per tali casi si punta al “potenziamento di personale dedicato al controllo dei punti di accesso alle scuole e dei luoghi limitrofi”. E anche a limitare che gli studenti si ritrovino nella stessa casa per svolgere computi o semplicemente per vedersi.
Gli obiettivi del piano sono condivisibili. Il problema è che la decisione di avviare il piano arriva quasi a metà anno scolastico, tra l’altro con le festività natalizie che incombono.
La domanda allora da porsi è: perché non si è provveduto a realizzare il monitoraggio durante l’estate, considerando che la seconda ondata di contagi era pressoché scontata e che sui mezzi pubblici delle città gli assembramenti si formavano anche prima del ritorno a scuola?
Ma, soprattutto, poiché si dà per scontato che vi sono mezzi di trasporto utilizzati certamente in massa dagli studenti (come le metropolitane o determinate linee di bus di Roma, Milano e Napoli), cosa si sta facendo per incrementarne le corse? Cosa accadrà quando a fine dicembre l’Istituto superiore di sanità e l’Inail diranno che indispensabile che passi una metropolitana ogni due minuti anziché ogni tre? I Comuni di Roma, Milano e Napoli hanno a disposizione mezzi aggiuntivi o bus sostituivi?
Perché ai monitoraggi devono fare seguito le azioni. E pure in tempi estremamente rapidi.
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