Alunni

Ritrovare il senso della scuola a partire dalla sua etimologia. Un’utopia possibile?

Se cercate su Google “etimologia scuola”, il primo sito che incontrerete sarà quello – attendibile e autorevole – della Treccani, che così si esprime: “Termine derivante dal latino schŏla (dal greco scholé), che in origine significava (come otium per i latini) tempo libero, piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico, e più tardi il luogo dove si attende allo studio, accezione quest’ultima nella quale è tuttora in uso.”

Immaginiamo adesso che davvero possa esistere una scuola in cui gli studenti non stiano lì perché obbligati a farlo ma perché “filosofi”, animati, cioè, dall’amore per il sapere. Una scuola in cui ciascuno possa tirare fuori il meglio di sé, attraverso una relazione con i docenti e con i compagni che non sia nutrita e sostenuta da ansia, paura, competizione, ma da serenità, solidarietà, collaborazione.

Un’utopia? Probabilmente sì, ma come diceva il famoso filosofo francese Emmanuel Lévinas, l’utopia concepisce modelli alternativi su come la società potrebbe funzionare a partire dalle potenzialità latenti nel presente. L’utopia potrebbe, dunque, rappresentare una strategia per immaginare futuri possibili e alternativi, generando cambiamento.

Questa grande utopia ci riguarda un po’ tutti. Tutti quanti – siamo sinceri – vorremmo si realizzasse: arriverà mai un giorno in cui la scuola non sarà più vissuta dai ragazzi come un obbligo/dovere, ma come luogo da frequentare con gioia per imparare e prepararsi alla vita?

Per Umberto Tenuta, Dirigente tecnico ministeriale e prolifico saggista, questa scuola che non c’è ma che potrebbe esserci senza troppi sforzi, dipende tutta dai docenti. In un articolo di qualche tempo fa pubblicato su Edscuola, Tenuta si rivolgeva proprio a loro con grande enfasi e a questo li invitava: “Smettiamo una buona volta gli abiti sacerdotali (non erano forse sacerdoti i primi docenti?) e indossiamo gli abiti socratici, di coloro che non insegnano, ma aiutano a partorire, a ricercare, a riscoprire, a costruire le virtù ed i saperi!”

Citando poi il matematico italiano Federigo Enriques, il saggista aggiungeva che «Se il nostro pensiero e le nostre parole debbono muovere l’attività del discepolo, bisogna che qualcosa di vivo che è in noi passi nello spirito di lui come scintilla di fuoco ad accendere altro fuoco».

Certo, una bella utopia sarebbe credere che nella scuola del futuro tutti i docenti siano dei cloni del professor Keating del mitico film “L’attimo fuggente”.

Un’idea più concreta e teoricamente realizzabile sarebbe invece quella di potere contare su un Governo che decida di dedicare per intero il suo quinquennio alla Scuola (e aggiungeremmo anche Lavoro e Sanità) fissando pochi obiettivi: sistemi di reclutamento docenti chiari ed efficaci, formazione in ingresso e in itinere per tutta la durata della carriera, edilizia scolastica che costruisca scuole belle in cui si passi con piacere oltre metà della propria giornata, dirigenti scolastici  capaci di costruire gruppi di lavoro solidali e collaborativi. Già così non sarebbe male…  

Gabriele Ferrante

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