Quattro anni dopo la grande paura della pandemia di CoViD-19, noi italiani preferiamo dimenticare i disagi e le ansie sofferte. Tuttavia, di quel brutto periodo nelle scuole italiane d’ogni ordine e grado è rimasto frequente l’uso delle riunioni collegiali online. Molte scuole, in tutta la Penisola, vi ricorrono in continuazione: collegi dei docenti, consigli di classe, GLO, riunioni per materie (o “di dipartimento”), consigli d’istituto, contrattazioni sindacali, riunioni per la sicurezza. Quali i pro? Quali i contro?
Molti docenti sono entusiasti di tutto ciò. Appare più comodo e meno dispendioso partecipare alle riunioni da casa propria, in assenza di mense scolastiche per il personale, di un ufficio proprio dove poter “staccare la spina” almeno per un quarto d’ora dopo le fatiche didattiche della mattina, di mezzi pubblici efficienti che garantiscano collegamenti rapidi tra casa e scuola. Troppi docenti sono pendolari, e percorrono anche 200 km al giorno (spesso con la propria auto) per recarsi al lavoro, con spese, rischi e stress inimmaginabili.
Al solito, però, in Italia anziché risolvere alla radice i problemi si ricorre a palliativi e pannicelli caldi. Di recente il celebre insegnante di fisica Vincenzo Schettini (noto per il suo simpatico modo di insegnare piacevolmente la fisica sul web e nella trasmissione RAI La fisica dell’amore), ha preso decisamente posizione in favore delle riunioni online. Lo scorso ottobre a Didacta Sicilia, intervistato dal nostro direttore, ha sostenuto che «Se lasciamo centinaia di migliaia di docenti a casa, tantissime auto non si muoveranno: quanta CO2 potremmo così evitare di mettere nell’atmosfera?».
Ma è proprio vero che la soluzione al surriscaldamento globale sono le videoconferenze dei docenti? Vero è che, come l’Agenzia Europea dell’Ambiente ricorda, i trasporti producono un quarto dell’anidride carbonica in Europa, e il 71,7% di quel quarto è prodotto dalla circolazione stradale dei veicoli. Ma le riunioni online sono proprio “carbon free”?
Uno studio dell’Università del Michigan ha dimostrato che sei ore di riunioni in streaming generano 1.324 kg di CO2: come percorrere 5.300 km in auto o ardere 750 kg di carbone!
I potenti server che danno vita a internet inquinano e consumano energia: Ademe, Agenzia pubblica francese per l’ambiente e la gestione dell’energia, ha rivelato che una singola e-mail da 1 Mb provoca l’emissione di circa 19 g di CO2; e ogni giorno partono 227 miliardi di e-mail. Per non parlare del consumo d’acqua per raffreddare i data center: in un mondo sempre più assetato, 200 litri ogni singolo Gb scaricato; 400 litri per vedere un film in streaming. Ecologico il web?
Considerando poi che molti docenti restano scuola per le riunioni, le videoconferenze non cambiano sostanzialmente il numero di viaggi giornalieri che ogni docente compie per recarsi a scuola. Dunque non è così che salveremo la specie umana.
Se parliamo di comodità, poi, è senz’altro giusto permettere ai docenti una vita meno stressante: per farlo, però, non bastano le videoconferenze. Bisogna cominciare dal numero di alunni per classe, e proseguire affrontando la frantumazione delle cattedre (con tanti docenti impegnati su più scuole), l’eccessivo carico di impegni burocratici, la maleducazione di pargoli e genitori, l’esiguità degli stipendi, la mancata retribuzione del troppo lavoro aggiuntivo (riunioni comprese), l’eccessivo innalzamento dell’età pensionabile, eccetera eccetera.
I docenti devono pretendere che siano risolti questi problemi — mediante stanziamenti adeguati — anziché rifugiarsi in casa per sentirsi meno oberati dalle troppe riunioni. Molte delle quali sono davvero importanti: come quelle del Collegio dei docenti, autentico parlamento degli insegnanti con potere deliberativo. A patto che gli insegnanti siano vivi e partecipino, ovviamente: altrimenti può diventare un parco buoi, docilmente condotto ovunque il dirigente di turno desideri.
Anche il recente CCNL, d’altronde, all’articolo 44 sottolinea che le attività da svolgere online sono preferibilmente quelle carattere non deliberativo, dovendosi preferire la modalità in presenza per le riunioni deliberative.
La conflittualità dei collegi, negli ultimi anni, si è ulteriormente affievolita, dopo decenni di progressivo affievolimento. Complice il ricambio generazionale: uscite dalla Scuola generazioni di docenti orgogliosi del proprio ruolo, vi sono entrate schiere di docenti più giovani, provenienti spesso da scuole private, “ammorbiditi” nel carattere e nella consapevolezza di sé da decenni di precariato e di umiliazioni. Risultato: i dirigenti non trovano vera opposizione alle proprie decisioni, perché troppo spesso i docenti rinunciano a priori a dire la propria. Le riunioni in streaming aumentano esponenzialmente la difficoltà di confrontarsi, di intendersi (mediante sguardi, gesti, mimica), di solidarizzare. Quando la comunicazione è mediata, tutto diventa più difficile, e le delibere piovono dall’alto, veloci e inarrestabili, quasi senza discussione.
I dirigenti più democratici e intelligenti non vogliono che questo accada, perché comprendono che le decisioni sono efficaci solo se consensuali e ponderate; specie in una comunità educante (che non è un’azienda, come giustamente il nostro direttore ha ricordato Schettini), dove i docenti sono chiamati a insegnare educazione civica, partecipazione, democrazia. Si insegna quel che si è, non quello che si sa (o si crede di sapere).
Se vogliono vivere meglio, i docenti devono pretendere il rispetto dei propri diritti e della propria funzione; vigilare durante le riunioni, utilizzandole al meglio per far sì che la Scuola funzioni al meglio. Risultato più facile da ottenere in presenza che a distanza.
Far funzionare meglio la Scuola significherà anche lavorare in condizioni più soddisfacenti.
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