La libertà di scelta educativa non è un diritto per pochi ricchi: il portinaio dello Sri-Lanka, che paga le tasse da 20 anni in Italia, ha questo diritto. Il cittadino a cui lo Stato presenta una pluralità di offerta formativa pubblica, statale e paritaria, nell’ambito del Servizio nazionale di istruzione, ha il diritto di scegliere l’agenzia formativa ed educativa che, come genitore, preferisce.
Apposta paga le tasse. Non le paga “per sport”; le paga per usufruire di un servizio pubblico, offerto dalla scuola pubblica, statale e paritaria. Non occorre essere un’aquila perché il cittadino contribuente si ponga questa semplice domanda: “Se lo Stato non riesce a garantire i diritti riconosciuti, a che serve riconoscerli? E’ deprimente…Tanto vale lasciare spazio alla dittatura. C’è più coerenza”. Anche il cittadino parlamentare non necessita di un elevatissimo QI per chiedersi: “Che garanzia diamo ai cittadini se diciamo e disdiciamo, riconoscendo un diritto e simultaneamente negandolo? Con quale faccia tosta ci presentiamo sul cartellone elettorale?” Credibilità pari a zero. “Perché ci struggiamo per riconoscere nuovi diritti inventati, mentre siamo incapaci di garantire quelli riconosciuti, che degli inventati dovrebbero essere il fondamento?”…
La sensazione è duplice: quella di aver ricevuto una serie di botte in testa, che impediscono di prendere coscienza dell’assurdo e di reagire; oppure il senso di impotenza e fatalismo di chi sa che nulla muterà e allora, per sfinimento, si arrende alla tragedia pirandelliana recitata a soggetto dai nostri politici sul palcoscenico della vita.
La terza via è quella di chi ha scansato le botte e la depressione, di chi “non ci sta” e dice chiaramente ai Maestri di Palazzo: “Altolà al fiume di parole, ai cinguettii twittati, alle dichiarazioni altisonanti e altolocate; riprendiamoci la responsabilità di cittadini eletti per servire i diritti e restituire dignità al diritto alla libertà di scelta educativa, che ha il solo scopo di garantire lo sviluppo armonico della societas, evitando la barbarie. Chi non si dimostra capace, anche se opportunamente stimolato dal cittadino intelligente, di operare in questa prospettiva è pregato di cambiare mestiere. La domanda del cittadino elettore sano di mente ed equilibrato è sempre la stessa: “Signori, come mai non possiamo garantire un diritto cosi naturale, tanto che i Costituenti, per riconoscerlo, non hanno dovuto impugnare le armi, bensì si sono limitati a prenderne atto? Cosa è successo dal 1948 ad oggi che rende così impossibile all’Italia, unica grave eccezione in Europa, il passaggio dalla 1ª fase, “Riconoscimento del diritto alla libertà di scelta educativa in un pluralismo educativo” alla seconda fase “Garanzia dell’esercizio del diritto”?
La domanda è d’obbligo: come si presenta l’Italia in Europa in vista del 1° luglio, che la vedrà per un semestre alla presidenza del consiglio dell’Unione Europea?
Il presidente del consiglio, Matteo Renzi, presentando alle Camere il programma dell’Italia ha detto: “Voglio proporre a voi deputate e deputati di fare di questa occasione di dibattito un’opportunità, perché la politica torni sempre più in Europa a sentirsi a casa propria e non sia una sorta di impedimento attraverso le decisioni della burocrazia e tecnocrazia“.
Non pare che si sia passati – come si dovrebbe – alla seconda fase, “l’azione” (garanzia dell’esercizio del diritto). Eppure l’immagine che l’Italia ci restituisce dal 1948 ad oggi è ancora quella di Leopardi: Così intelligenti nell’analizzare, nel negare, nell’irridere e disprezzare, lo saranno anche nel costruire con disincanto e realismo un foedus tra loro, capace di salvarli da annunciate catastrofi? Benché gl’italiani, come ho detto, siano incirca a livello delle altre nazioni nella conoscenza generale della realtà delle cose relativamente ai fondamenti dei principii morali, per quanto almeno basta a influire e dar norma alla condotta pubblica e privata di ciascheduno; tuttavia è ben certo e da tutti gli stranieri, non meno che da noi, conosciuto e consentito che l’Italia in fatto di scienza filosofica e di cognizione matura e profonda dell’uomo e del mondo è incomparabilmente inferiore alla Francia, all’Inghilterra, alla Germania, considerando queste e quella generalmente. Ma con tutto ciò è anche certissimo, benché parrà un paradosso, che se le dette nazioni son più filosofe degl’italiani nell’intelletto, gl’italiani nella pratica sono mille volte più filosofi del maggior filosofo che si trovi in qualunque delle dette nazioni. ” (Saggio sopra lo stato presente dei costumi degli italiani).
In estrema sintesi, ci si domanda: la concretezza invocata dal nostro Presidente ci può far pensare che l’Italia, che giuridicamente ha anticipato l’Europa nel riconoscimento del diritto e che si arresta proprio nella seconda fase, sia in una fase di resipiscenza normativa?
Allora si passi definitivamente alla seconda fase, quella della garanzia dei diritti. In questo caso il diritto alla libertà di scelta educativa, per essere esercitato, ha bisogno di completare la legge n. 62/2000 attraverso l’individuazione del costo medio standard per allievo, l’anello mancante per “garantire” il diritto “riconosciuto”.
Più in dettaglio:
1) si individui il costo standard dell’allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano,
2) si dia alla famiglia la possibilità di scegliere fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria;
3) si garantisca e si incentivi realmente l’autonomia scolastica.
Risultato:
a) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato;
b) innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un SNI d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini;
c) valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società;
d) abbassamento dei costi e destinazione di ciò che era sprecato ad altri scopi. Si innesca cosi un circolo virtuoso che rompe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il welfare non può sostenere altri costi; non a caso il principio di sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica è anzitutto un principio economico prioritario.
Europa docet.
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