In questi giorni, l’approssimarsi della conclusione dell’anno scolastico e l’emanazione del recente Dlgs decreto legislativo 61 del 13 aprile 2017, emanato in attuazione delle Legge delega nota come Buona Scuola, fortemente voluta dal precedente Governo, impongono ai Collegi dei Docenti decisioni importanti e riflessioni profonde legate proprio alla Riforma degli Istituti professionali.
In particolare, i docenti firmatari della presente, che compongono il Dipartimento di Lettere dell’Istituto Sassetti-Peruzzi di Firenze, in diverse occasioni, più o meno formali, si sono confrontati sulle innovazioni introdotte dalla Riforma e sono rimasti esterrefatti di fronte alla presa di coscienza che le innovazioni si sono tradotte, ancora una volta, in riduzioni e tagli.
Il provvedimento normativo su citato, infatti, attua un severo taglio del monte ore annuale delle ore di Storia, già dal biennio: il nuovo quadro orario prevede che, dal prossimo anno scolastico (ormai divenuto attuale n.d.r. ) , l’insegnamento della Storia sarà ridotto ad 1 ora risultando questo l’unico insegnamento impartito con una sola ora alla settimana (contro le 2 ore settimanali previste dalla precedentemente riforma); di fronte a tale provvedimento ci interroghiamo anche sulle sorti del triennio e speriamo che almeno in questo percorso di studi non vengano ridotte le ore di italiano e storia affinché i nostri studenti possano confrontarsi con la nostra cultura e il nostro passato.
Appare sorprendente che nel Paese che in ogni angolo del suo territorio racconta le origini della cultura latina; nel Paese in cui è nata una storia lunga secoli, quella dell’Impero romano; e che ha posto le fondamenta per la formazione della società europea, il Governo decida di privare gli studenti della metà delle ore previste nell’insegnamento della Storia; appare incredibile che, in un Paese nato anche sulle rovine dagli insediamenti dei Greci, degli Etruschi, dei Longobardi, il legislatore decida di snaturare un insegnamento disciplinare che costruisce la nostra identità e che concorre a formare ed educare cittadini attivi e consapevoli; appare deludente che sia il Governo a chiederci di ridurre al minimo le proposte didattiche che invece sarebbero sostanziali per educare alla bellezza, alla riflessione profonda, alla capacità di operare confronti tra il passato e il presente fino a sviluppare il senso critico di cui tanto sente bisogno il nostro amato Paese.
Ciò che colpisce è che questi tagli e queste riduzioni vengano operati proprio negli Istituti Professionali: si dirà che negli Istituti Professionali gli allievi devono esser preparati ad entrare nel mondo del lavoro con competenze chiare e certificabili, come accade nell’Europa.
Ecco, riteniamo che questo sia un assunto estremamente critico della Riforma: proprio perché i nostri allievi sono destinati, per la maggior parte, all’inserimento nel mondo del lavoro, è eticamente doveroso fornire loro le chiavi di accesso alla società e offrire gli strumenti di decodifica delle complessità del mondo contemporaneo.
Spessissimo, gli anni di frequenza della scuola secondaria di II grado rappresentano gli ultimi anni di formazione per questa popolazione scolastica e uno Stato responsabile verso sé stesso, e non solo ripiegato sulle richieste internazionali, non dovrebbe abdicare al ruolo sacro della formazione dei suoi cittadini: questo è il rischio gravoso cui andremo incontro se i vigenti ordinamenti non saranno oggetto di una modifica.
Se si avesse l’ardire di leggere ed interpretare i dati legati alle iscrizioni degli Istituti Professionali, si capirebbe che la popolazione di queste scuole oggi risulta composta, per una grossa percentuale, da allievi non italofoni che si iscrivono con una conoscenza della lingua italiana molto compromessa: appare allora del tutto insensato che proprio le discipline linguistiche e/o storico sociali vengano ridotte nel numero di ore settimanali, come pure appare ingiustificatamente oneroso che, sottraendo ore curriculari a tali insegnamenti, vengano poi finanziati corsi extracurriculari di alfabetizzazione linguistica determinando, evidentemente, un aggravio per la spesa pubblica.
Inoltre, questi, appartenendo ad un’altra storia, la storia del Paese di origine, ignorano profondamente quella del nostro territorio: ci chiediamo se sia questa la strada dell’inclusione che gli ordinamenti intendono portare avanti.
Crediamo fortemente che, soprattutto negli Istituti Professionali, l’insegnamento non debba ridursi a quiz e verifiche ma debba esser accompagnato dagli approfondimenti e dalle riflessioni e che debba promuovere e sollecitare negli allievi le domande di senso legate alla vita e all’uomo.
Colpisce anche che questo stravolgimento della didattica non abbia previsto alcun momento di confronto con il mondo della scuola e che si sia trattato dell’ennesimo provvedimento di tagli operato senza l’apertura di momenti di discussione e dialogo con i docenti che ad oggi sono i veri esperti del mondo della scuola.
Lettera firmata
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