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Roald Dahl e la censura dei classici della narrativa per ragazzi, via le parole ritenute “offensive” e “non inclusive”

Ha fatto molto discutere sulla stampa dei giorni scorsi il revisionismo linguistico che si è abbattuto anche sulla narrativa per ragazzi dello scrittore inglese Roald Dahl, morto nel 1990, autore di libri venduti in tutto il mondo. La casa editrice inglese, che dal 2021 appartiene alla società statunitense Netflix, in accordo con gli eredi, è intervenuta sul testo di vari romanzi eliminando parole o frasi ritenute offensive o non inclusive rispetto ai canoni del mondo attuale, o meglio rispetto ai presupposti di quella “cancel culture” che da anni ormai si è imposta specialmente nei paesi anglosassoni, arrivando al boicottaggio culturale di chi si esprime in modo ritenuto non corretto, non conforme.

Qualche esempio. La parola “grasso”, affibbiata a un personaggio, è ritenuta offensiva perché potrebbero risentirsi tutti coloro che hanno il problema di essere grassi e spesso sono presi in giro per questo motivo. Così uno dei bambini protagonisti de La fabbrica del cioccolato, descritto dal suo autore-creatore come “sproporzionatamente grasso” con grossi rotoli di grasso flaccidi che gli pendevano da ogni parte del corpo (il simbolo della golosità irrefrenabile, tanto che durante la visita alla fabbrica vuole bere da un condotto di cioccolato fuso finendo risucchiato), diventa semplicemente “enorme”. In altri casi anche l’aggettivo “nano” non va bene. “Padre e madre” diventano “genitori”. “Piccoli uomini” diventano “piccole persone”, un genere neutrale e quindi universale.

La casa editrice si giustifica dicendo che le modifiche sono state “piccole e ponderate con attenzione”, eliminando quei riferimenti ritenuti non inclusivi, con l’obiettivo di permettere a qualunque bambino di immedesimarsi nei personaggi.

Ma l’arte è ancora libera e creativa?

Il Fatto quotidiano del 21 febbraio dedica alla questione una pagina intera. “Né grassi né brutti – è il titolo- Follie. Puffin Books censura lo scrittore dell’infanzia”. La posta in gioco è alta, i bambini del futuro potrebbero perdere la possibilità di leggere questi classici della letteratura nella loro forma originaria.

Le censure sui libri di Dahl sono diventate di dominio pubblico grazie a un articolo del Daily Telegraph, quotidiano conservatore in trincea contro la cultura woke. Intanto però “la palla di neve è diventata una slavina, con l’intervento perfino del primo ministro conservatore Rishi Sunak. Un suo portavoce ha dichiarato che le opere di fantasia dovrebbero essere preservate, non ritoccate”, scrive il Fatto. L’arte è ancora libera e creativa? si interroga e ci interroga il quotidiano. “Deve sottolineare e rappresentare contraddizioni, brutture e ipocrisie, andare agli estremi, mostrare lo sporco sotto il tappeto, offendere, scandalizzare, o il suo nuovo mandato sociale è creare mondi iperurani in cui nessuno si senta offeso, sperando che le nuove generazioni imparino da questa sterilizzazione a riconoscere e combattere gli stereotipi che ancora sporcano la vita e la realtà? E la moralità privata dell’autore ne giustifica, nei casi estremi, la damnatio memoriae retroattiva?

Quali sono le vere ragioni della censura?

Vietato dire “grasso”, “nano”, “piccolo”: il politicamente corretto colpisce Roald Dahl. Trovata pubblicitaria per aumentare le vendite o furia iconoclasta di un gruppo di curatori fuori controllo?” si chiede la testata televisiva Byoblu. “Stavolta la notizia ha rimbalzato su tutti i giornali, ma quanti casi di modifiche silenziose si muoveranno nel sottobosco dell’editoria politicamente corretta di cui non abbiamo percezione? Non è infatti la prima volta che testi per bambini vengano modificati del tutto per renderli più “inclusivi”. Esistono anche delle figure professionali deputate a questo: si chiamano “sensitivity reader”, e hanno il compito di vagliare i testi prima della pubblicazione, “con la missione di identificare passaggi che contengano stereotipi, pregiudizi o rappresentazioni che possano risultare offensivi o dispregiativi nei confronti di alcune comunità minoritarie, etniche, sessuali e culturali. Tuttavia la faccenda Dahl è talmente grande da aver svegliato anche la nostra dormiente classe intellettuale: nelle ultime ore fioccano gli articoli in cui si prendono le distanze dalla decisione definita “censoria” e priva di senso”.

La questione insomma è rimbalzata un po’ su tutti i giornali e finalmente un dibattito serio si è aperto.

Anna Maria Bellesia

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