Secondo dei ricercatori, solo il 9% degli attuali impieghi in 21 Paesi del mondo sono potenzialmente destinati ad essere sostituiti dai robot. Un dato in netta contrapposizione con quello pubblicato dall’Oxford Martin School che prevede una diminuzione di posti di lavoro pari al 47% solo negli Stati Uniti da qui ai prossimi 20 anni. Quando il nostro lavoro sarà svolto dalle macchine.
Di fatto il nuovo rapporto evidenzia come vi siano molte mansioni decisamente poco suscettibili allo sviluppo tecnologico e che l’intelligenza artificiale potrà solo lambire, lasciando, invece, largo spazio all’operato umano.
La percentuale di lavori a rischio robot cambia di nazione in nazione anche se secondo il report stiamo parlando di cifre davvero irrisorie e completamente contrapposte all’analisi.
La media si attesta intorno al 9%, la Corea del Sud è il Paese meno a rischio automazione con il 6%, più alto il rischio in Germania e Spagna (12%), pari merito Italia e Inghilterra con il 10%. Anche se il pericolo di automazione dei posti di lavoro potrebbe essere sopravvalutato, una certezza c’è: questa rivoluzione industriale potrà generare una considerevole divisione del bottino economico, accrescendo in qualche modo anche le disuguaglianze di reddito nei prossimi decenni. Come possono le società rispondere a queste preoccupazioni? Un economista olandese ha attribuito gran parte dell’ampliamento dei divari di reddito a una «gara tra l’educazione e la tecnologia».
Quando i livelli di istruzione sono in aumento rispetto ai miglioramenti della tecnologia, il divario si restringe: quando sono evanescenti, il divario si allarga. Ecco perché è importante focalizzarsi sull’educazione e istruzione digitale, in particolare per la costruzione di solide fondamenta nei primi anni di vita dei bambini.
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