L’industria 4.0 è uno dei temi cardine delle recenti discussioni politiche a livello globale, tanto per le economie trainanti quanto per i mercati emergenti. L’introduzione di concetti quali Big Data, sistemi open source, Cloud Computing e tutta la miriade di innovazioni legate alla recente digitalizzazione delle aziende ha portato al ripensamento di varie strutture aziendali – non da ultimo la gestione del personale impiegato nei processi di produzione.
Per quanto se ne possano esaltare gli aspetti positivi, l’utilizzo sempre più frequente di sistemi automatizzati nelle fabbriche porta con sè la minaccia di un crescente tasso di disoccupazione, laddove le macchine prendono il posto dell’uomo in una lotta impari per una maggior produttività. Nonostante l’aumento della disoccupazione non sia conseguenza diretta di queste innovazioni, ma rintracciabile in problematiche diffuse da molto più tempo, il senso di pericolo per una eventuale perdita di lavoro ha portato l’uomo in competizione diretta con la macchina, soprattutto in ambito industriale.
Mentre si cerca una possibile soluzione per il ricollocamento di una massa di lavoratori che, volente o nolente, dovrà riadattare il proprio profilo professionale in vista di diverse mansioni, una serie di iniziative sono sorte in tutto il mondo per preparare la società del futuro a quello che, a conti fatti, è un processo inevitabile. Tutto sta nel prepararsi e fronteggiare le sfide future al meglio, senza dover pensare ad arginare i danni a posteriori.
Un ottimo esempio lo dà la scuola, fucina di lavoratori e imprenditori, che da anni attua programmi e corsi di ingegneria robotica incentrati sulla formazione di figure professionali pronte a rispondere alle esigenze di un’industria in costante cambiamento. L’operaio in fabbrica potrebbe pian piano diventare il supervisore della macchina, riadattando le proprie capacità alla luce di nuove richieste.
In Italia la ricerca nel campo della robotica meriterebbe maggior esposizione e riconoscimento – si pensi soltanto che la piemontese Comau è tra i leader mondiali nella produzione di robot industriali, andando confluire in un mercato che si estende dagli Stati Uniti fino al Giappone. A livello accademico ci sono diverse Università che preparano gli studenti alla progettazione e utilizzo di robot automatizzati, incentivando scambi e interazione al di là dei confini nazionali (ne dà un chiaro esempio l’Università di Genova, con i suoi corsi di robotica interamente in inglese).
Inoltre, non si può nascondere quanto Pisa e Siena rappresentino delle vere e proprie eccellenze sul suolo nazionale. La Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa, che a breve festeggerà i 30 anni dalla fondazione, offre uno dei centri di ricerca più all’avanguardia nel campo della biorobotica, andando a creare un polo formativo che arricchisce il nostro paese di una forza lavoro altamente specializzata. Una politica capace di prendere in considerazione queste figure professionali potrebbe gettare le basi per un futuro dove automazione robotica e industria 4.0 non rappresentano più una minaccia a livello occupazionale, ma una risorsa per dare una spinta all’economia nazionale.
A Siena il SIRSLab lavora nella prospettiva di una sempre maggiore interazione tra uomo e macchina, supportando iniziative e progetti atti a migliorare e facilitare le operazioni svolte tramite l’utilizzo di supporti robotici. Alla base di questi lavori c’è l’idea che l’uomo possa insegnare molto alla macchina (specialmente studiandone la complessità dei movimenti), mentre la tecnologia potrebbe migliorare drasticamente le condizioni delle prossime generazioni. Inoltre, i ricercatori del SIRSLab non sono estranei a collaborazioni con istituti nazionali (come l’IIT, Istituto Italiano di Tecnologia) e internazionali.
Questi finora elencati non sono che esempi (e che esempi!) di una realtà che in Italia cresce con costanza e la cui esistenza, nell’ottica di un rinnovamento dei processi produttivi, potrebbe assumere sempre più importanza nelle decisioni politiche. È fondamentale combattere la paura di un futuro automatizzato con una preparazione adeguata, sia a livello di strategie politiche che di effettiva forza lavoro specializzata. Il mercato della robotica è talmente esteso – e promettente – che sarebbe un peccato non approfittarne. Al momento le aziende con maggior impiego di automazioni industriali si trovano negli Stati Uniti (si veda il caso della Tesla Motors, con le sue fabbriche senza personale umano) e in Asia. In Europa, come prevedibile, è la Germania a farla da padrone, nonostante la recente acquisizione della baverese KUKA da parte della cinese Midea.
La Cina, e il mercato asiatico in generale, meriterebbe una menzione speciale. Sul fronte asiatico le vendite in robotica crescono ad una velocità tre volte superiore rispetto al resto del mondo, in parte a causa del mancato ricambio generazionale nelle fabbriche. Paradossalmente, si investe nel settore per sopperire alla mancanza di manodopera e poter produrre in misura maggiore nei confini nazionali. Un problema che pare proprio lontano anni luce da paure quali mancanza di lavoro e disoccupazione dilagante (nel caso si volesse entrare nel merito e confrontare i vari dati su esportazione e impiego di robot industriali, può venirci in aiuto un recente report stilato dalla tedesca TradeMachines.
Questa panoramica sulla vastità del mercato, e sugli investimenti in corsi di formazione, dà una prima idea di quanto influente sarà il settore robotica nelle decadi a venire, facendosi chiaro segnale della necessità di ripensare il mondo del lavoro per come lo conosciamo. A conti fatti, questa ennesima rivoluzione industriale non è che un effetto di una più vasta trasformazione tecnologica con la quale stiamo imparando a convivere e che, nel giro di pochi anni, potrebbe riscrivere molte delle nostre abitudini.
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