Se per un verso ricordiamo le certezze di trascorsi ministri che sollecitavano le bocciature per implementare il rigore a scuola, valutando però il merito, dall’altro ricordiamo pure i largheggiamenti di altri ministri che invitavano alla comprensione.
Qual è la strada mediana? Bastone e carota? Oppure ogni bocciatura, qualunque bocciatura, è effettivamente un fallimento della scuola? E poi serve bocciare? Ha una sua intrinseca utilità ai fini educativi e didattici? È un modello punitivo adottabile in tutte le situazioni e le condizioni? È discriminante anche da un punto di vista sociale? Non sono forse i ragazzi delle classi meno abbienti a subirla più di ogni altro? L’esempio di Barbiana, e l’esperienza raccontata da Don Milani, ha ancora una sua valenza pedagogica?
Il sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi Doria, così risponde a Panorama:
Mi è capitato di bocciare all’esame di terza media anche ragazzi «drop out», dopo averli con fatica riconquistati alla scuola insieme ai miei colleghi a Napoli. La mia posizione non è «non si boccia per principio». Ci sono situazioni, che a volte sono casi limite, in cui viene meno il patto educativo deciso insieme.
Diffido delle soluzioni semplici, che servono più alla coscienza dei docenti che ai ragazzi. Il compito educativo è di per sé complicato. Ci sono studenti per cui la bocciatura può essere un fatto terribile, mentre alle volte può essere utile. E soprattutto in ogni caso servono misure dì accompagnamento e deve essere chiaro ai ragazzi il motivo per cui si decide di bocciare.
Nella mia esperienza funzionava così: vedevo una volta al mese i ragazzi più in difficoltà insieme ai loro insegnanti e si faceva il punto sul programma di lavoro che avevamo condiviso. Se il programma veniva portato avanti, allora si poteva aiutare il ragazzo a essere promosso.
Ci deve essere un percorso in cui i ragazzi capiscano che è possibile verificare se stanno lavorando oppure no. Se c’è un patto e vengono messe in campo le risorse educative necessarie, è un conto.
Se la bocciatura arriva di colpo sulla testa del ragazzo, è un altro conto. Quanti docenti dicono all’inizio che cosa si aspettano e come richiedono di lavorare alla classe? Questo è essenziale per stabilire un patto educativo. Poi, siccome si parla di persone in crescita, questo patto va rimesso in carreggiata continuamente fra settembre e aprile. Soltanto dopo, e a queste condizioni, si può arrivare a una valuta rione finale comprensibile e utile per il ragazzo.
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