Ogni giovedì un appuntamento con i grandi della scienza, raccontati sotto un punto di vista storico.
E se vi dicessi che Isaac Newton era un mago? La domanda è provocatoria, ma neanche troppo. Nel 1936 il celebre economista John Maynard Keynes, appassionato di storia della scienza, acquistò all’asta un baule che era appartenuto al grande fisico inglese e quando mise mano ai documenti rimase esterrefatto. La maggior parte delle carte infatti riguardavano studi di alchimia, cabala ed esoterismo. Newton apparve a Keynes non come il primo uomo dell’epoca dei lumi, bensì come “l’ultimo mago”.
Che Newton fosse un personaggio a dir poco bizzarro lo si sapeva: fu un uomo solitario, che si dice abbia sorriso una volta sola, poco incline (per usare un eufemismo) al confronto e alla mondanità. Effettuò esperimenti cimentosi che misero seriamente a rischio perfino la sua salute. Tuttavia scoprire anche che per la maggior parte del suo tempo si dedicò a studiare i testi sacri in cerca di verità antiche segretamente tramandate, o a calcolare il giorno esatto dell’Apocalisse (che a dir suo avverrà nel 2060 d.c.), è un duro colpo all’immagine dell’integerrimo professore lucasiano di matematica.
E quali conclusioni dovremo trarre da questa scoperta? Che nonostante fosse un uomo inusitato, nonché un cultore di materie tutt’altro che scientifiche, Newton è comunque riuscito, magari nei momenti di lucidità, a scoprire le leggi che governano l’universo e a misurare con precisione l’interazione gravitazionale?
Niente affatto: al contrario potremmo dire che proprio grazie alle sue particolari passioni riuscì a vedere dove gli altri guardavano dubbiosi. In una cornice culturale e filosofica meccanicista che riconduceva ogni fenomeno a materia e movimento, fu il suo interesse per l’alchimia a permettergli di immaginare un concetto che per i suoi colleghi era inconcepibile; l’interazione gravitazionale proveniva infatti da una visione animista della natura molto più vicina all’universo magico che a quello scientifico.
L’esempio di Newton è rappresentativo, ma non è isolato, anzi: la storia della scienza ci dimostra come conoscere le regole interne di una disciplina sia necessario, ma non sufficiente; oggi come ieri, chi vuole diventare uno scienziato o più in generale chi vuole conoscere e scoprire deve mettere in conto di passare una buona parte del suo tempo a fare qualcosa che solo apparentemente nulla c’entra. Perché una prospettiva diversa aiuta ad osservare le regole dall’esterno, a comprenderne la natura e dunque i limiti.
Ecco uno dei motivi per i quali uno scienziato oggi deve dedicarsi alla materie umanistiche: alla poesia, alla letteratura, all’arte, alla musica e naturalmente alla filosofia e alla storia. Potremmo però anche guardare oltre: perché non pensare a un mondo nel quale gli ingegneri si dedicano al teatro? Dove i fisici magari ballano o cantano e i matematici si danno alla cucina o alla fotografia? Sono convinto che pagherebbe dal punto di vista scientifico, ma anche se mi sbagliassi sarebbe comunque un modo per conoscerci e conoscere con più allegria.
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