Vorremmo che il nostro discorso avesse a che fare con la scienza dell’organizzazione e con il repertorio di competenze richieste ad un dirigente del comparto pubblico, e dunque un professionista che ricopre un ruolo apicale nella gestione della cosa pubblica. Sempre più spesso, invece, della dirigenza pubblica si interessa la magistratura amministrativa e penale, più che la scienza dell’organizzazione.
I fenomeni corruttivi sono diventati ancor più frequenti da quando la funzione gestionale è stata scissa da quella politica e di indirizzo. Oggi i dirigenti pubblici godono di una più ampia autonomia rispetto al passato ed hanno un potere più esplicito e diretto riguardo la gestione del personale e l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie.
In sostanza, i centri di spesa si sono sempre più spostati dalle figure politiche a quelle manageriali e questo spiega il perché sempre più spesso i dirigenti pubblici siano coinvolti in reati contro la PA e l’erario. La corruzione – vera ricchezza del nostro Paese – non poteva che trarne vantaggio.
Il problema è antico: in Italia stenta a farsi strada una coscienza civica, a tutti i livelli. “Chi sta dentro la norma sforzandosi di rispettarla è considerato popolarmente un ‘fesso’, nozione che potrebbe costituire un’altra categoria utile per descrivere le diverse facce del Pensiero Italiano” (R. Simone, Il paese del pressappoco). Farsi strada con la furbizia, o facendosi aiutare dagli “amici degli amici”, è un tipico sport nazionale. E ovviamente a questo non sfuggono neppure i dirigenti pubblici. Anzi. E’ risaputo che molti concorsi per la selezione dei dirigenti sono quanto di più vergognoso si possa immaginare, soprattutto quando (casualmente?) in commissione d’esame vi sono persone che conoscono fin troppo bene alcuni candidati o quando i temi da svolgere (coincidenze?) sono argomenti che alcuni candidati conoscono bene per averli trattati per motivi d’ufficio. Ne parliamo a ragion veduta. Su questo punto faremo una proposta operativa più avanti.
E’ un problema anche di formazione: in Italia – a differenza della Francia – non c’è l’Ecole Nationale d’Administration che forma i futuri manager pubblici. In Italia, le competenze ognuno se le forma sul campo o in una dimensione individuale. La nostra Scuola Nazionale di Amministrazione, recentemente riformata, ha il compito istituzionale di reclutare i dirigenti pubblici attraverso corsi-concorsi, e provvedere alla loro formazione iniziale e continua; svolge inoltre attività di ricerca e di consulenza e supporto tecnico al governo e alle varie amministrazioni pubbliche. In realtà, con la riforma intervenuta ai sensi del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 – convertito con modificazione dalla 11 agosto 2014 n. 114 – la SNA è stata accorpata con le altre scuole di formazione statali previste dalla legge, e le sue sedi distaccate sono state soppresse. In sostanza la sua azione è stata ampiamente ridimensionata.
Ma non tutta la dirigenza pubblica viene reclutata attraverso i corsi-concorsi gestiti dalla SNA; molti ministeri o agenzie pubbliche (Miur, Agenzia delle Entrate, MEF) provvedono direttamente al reclutamento dei dirigenti di seconda fascia. Questa modalità di reclutamento si presta ad essere maggiormente “manipolata”, ovviamente.
Vanno poi evidenziati due aspetti problematici all’interno della dirigenza.
Il primo riguarda la possibilità per l’Amministrazione, sulla base di quanto previsto dall’art. 19, commi 5/bis e 6, del DLgs 165/2001, di nominare una certa quota di dirigenti di seconda fascia per un triennio (incarico rinnovabile). Questa norma costituisce di fatto la copertura giuridica per nominare “amici degli amici”, per cooptare in posti di prestigio conoscenti o affiliati politici e quant’altro. Apparentemente la selezione dei candidati ex commi 5/bis e 6 avviene sulla base di una comparazione dei curricula, in realtà è risaputo che il merito in questo caso è una variabile del tutto aleatoria: ciò che conta è essere raccomandati da tizio o “benvoluti” da caio. Quando e se verranno abrogate queste storture giuridiche l’Italia guadagnerà in democrazia, meritocrazia e civiltà. Per questo siamo pessimisti che ciò avvenga. Anzi, sempre più spesso ricorrono voci di una stabilizzazione di queste figure, le quali entrerebbero stabilmente nella dirigenza pubblica per grazia ricevuta e bypassando ogni forma di concorsualità. Con buona pace dell’art. 97 Cost. e della sempre troppo inopportunamente citata meritocrazia.
L’altro aspetto riguarda la collocazione dei dirigenti scolastici all’interno della dirigenza pubblica. In questo caso la proverbiale arguzia italiana ha raggiunto cime di eccellenza creando ad hoc una dirigenza che non è – per usare un linguaggio extragiuridico – né carne né pesce. Per dare una parvenza di dirigenza ai presidi è stata addirittura creata appositamente l’Area V, ossia una sorta di limbo predirigenziale, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti economici e retributivi. Forse è tempo che il “ruolo unico” dei dirigenti previsto dalla c.d. Riforma Madia diventi davvero unico, inglobando i dirigenti scolastici, anche attraverso una rivisitazione dei parametri quantitativi delle istituzioni scolastiche, se necessario.
Un problema spinoso infine è quello della valutazione dei dirigenti, sia nella sua riverberazione retributiva, sia per quanto concerne l’effettiva idoneità a ricoprire un ruolo dirigenziale. Per quanto riguarda gli aspetti retributivi (la cd retribuzione di risultato), attualmente il sistema è quanto di più bizzarro si possa immaginare: in sostanza ogni dirigente si autovaluta (sulla base di alcuni parametri forniti dall’Amministrazione), ma la valutazione finale compete al direttore generale (com’è giusto che sia). Ovviamente, nella valutazione finale hanno un peso determinante altri fattori extraprofessionali: la vicinanza del dirigente con il direttore generale, il livello di confidenza/amicizia/simpatia tra i due e quant’altro. Per quanto riguarda invece la verifica delle capacità dirigenziali, sulla carta esiste la possibilità di rimuovere un dirigente inefficiente o incapace, attraverso il non rinnovo dell’incarico, ma di fatto non è stato quasi mai esercitato.
Qualcosa va detto anche a proposito delle procedure di valutazione dell’Ufficio che si dirige. Negli ultimi anni, anche in seguito agli effetti della cd Riforma Brunetta, ogni ufficio è chiamato a elaborare il cosiddetto Piano della Performance, forse una delle innovazioni più inutili sul piano giuridico e, soprattutto, su quello professionale. In sostanza si tratta di compilare una serie di schede contenenti indicatori, obiettivi, target e tutto l’armamentario di derivazione anglosassone utile a soddisfare la mai sazia fame burocratica del nostro sistema, ma assolutamente incapace di spostare di una virgola la qualità dell’organizzazione del lavoro e la professionalità dei vari addetti. Insomma, un grande spreco di tempo per compilare schede che nessuno leggerà mai (per fortuna…) e che non interessano a nessuno. Non credo sia questo il modo migliore per impostare i tanto osannati “cicli di miglioramento della performance”.
Si può pensare ad una situazione diversa? In senso astratto sì, ma temo che nessuna forza politica abbia voglia di intraprendere una strada del genere: in fondo una dirigenza asservita (in tutti i sensi) al potere politico fa comodo prima di tutto alla stessa classe politica, e forse anche alla dirigenza pubblica: avendo “santi in paradiso” si può tranquillamente vivacchiare senza grandi ansie. Insomma, una dirigenza autonoma, competente e lontana dalle appartenenze politiche non fa parte dell’orizzonte culturale della politica italiana. E forse non fa parte neppure del background mentale degli stessi dirigenti.
E’ sconfortante dirlo, ma è cosi.
Comunque, per mera esercitazione accademica, si possono immaginare i seguenti interventi finalizzati a irrobustire sul piano culturale e professionale (oltre che etica) la dirigenza pubblica in Italia:
– Reclutamento dei dirigenti affidato esclusivamente ad un’agenzia pubblica indipendente (Scuola Nazionale di Amministrazione?) che attraverso corsi-concorsi individui – per quanto possibile – i migliori candidati. In ogni caso non può essere l’Amministrazione che ha bisogno di dirigenti a selezionare i dirigenti medesimi: l’Amministrazione deve definire il profilo professionale dei dirigenti da reclutare, le capacità e le competenze da verificare, le mansioni e compiti da svolgere. Sarà poi l’agenzia indipendente a provvedere a tutte le operazioni inerenti il reclutamento e la selezione.
– Abrogazione dei commi 5/bis e 6 del D.Lgs 165/2001 senza alcuna possibilità di stabilizzazione per coloro che hanno fruito di tale dispositivo: gli interessati possono partecipare ai concorsi come tutti gli altri candidati.
– Formazione continua obbligatoria dei dirigenti regolata per legge, anche attraverso forme di crediti, come già avviene per la dirigenza medica.
– Rotazione degli incarichi dirigenziali dopo 2 o 3 mandati (6-9 anni), e questo per evitare fenomeni di corruzione, oltre che per valorizzare tutte le professionalità presenti nella dirigenza.
– Valutazione dei dirigenti affidata ad un’agenzia esterna e condotta in modo meritocratico – per quanto possibile – sia sulla base di dati quantitativi (mole di lavoro svolto), sia in relazione agli effettivi obiettivi raggiunti e alle aree di criticità che invece permangono.
– Abolizione del Piano della Performance e definizione di obiettivi “contrattati” tra dirigente e direttore generale.
– Introduzione del “ruolo unico” dei dirigenti, ricomprendendo anche i dirigenti scolastici e rivedendo, se necessario. i parametri quantitativi delle istituzioni scolastiche. Il “se necessario” è in riferimento ad analoga analisi quantitativa da svolgere presso tutti gli uffici dirigenziali. Ad esempio, se uno dei parametri per avere la qualifica dirigenziale è costituito dal numero degli addetti assegnati al dirigente, questo dato deve valere per tutte le qualifiche dirigenziali, almeno come punto di riferimento.
Queste proposte possono apparire avveniristiche: in effetti lo sono. In un Paese normale probabilmente sarebbero già prassi. In Italia appare difficile pensarle attuabili. Lo sappiamo, ma il silenzio è sempre colpevole.
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