Le organizzazione sindacali, è sempre bene ribadirlo, sono importanti in una società democratica. Il problema è che i sindacati devono fare i sindacati, cioè i rappresentanti, ovviamente, degli interessi di una parte, ma di una parte che sa aprirsi al “bene comune”. Oltre i corporativismi.
Per il mondo della scuola, è facile notarlo, la crisi della rappresentanza sindacale non riguarda solo i docenti ed i non docenti, ma anche i presidi: difficile oggi trovare luoghi adeguati di lettura delle nuove professionalità richieste dalla nostra “società aperta”.
Vogliamo riformare questo mondo: basterebbe porre un limite ai mandati sindacali, al massimo due. Una piccola-grande rivoluzione.
Quando riceviamo inviti per riunioni sindacali, sappiamo giá la loro consistenza, cioè assise di routine, raramente occasioni importanti per cogliere a fondo il merito dei problemi odierni.
Parlo qui, più nel dettaglio, degli incontri sindacali dei dirigenti scolastici. Di questioni aperte ce ne sarebbero molte, visto che il ruolo dei presidi nella vita delle scuole è e sarà sempre più importante. Per la domanda di diretta responsabilità e di concreta risposta alle esigenze formative delle nuove generazioni.
Prima però di parlare di cultura professionale, c’è un problema irrisolto che sembra non interessare nessuno.
Parlo di una evidente ingiustizia. Sino ad oggi senza soluzione.
Di cosa sto parlando? Della sperequazione degli stipendi tra i dirigenti scolastici. In poche parole: presidi che fanno lo stesso mestiere, ma con stipendi diversi. Parlo dello stipendio base, non di quella parte che è legata alla complessità della propria scuola, secondo una specifica “fascia”, differenza prevista dalla contrattazione integrativa regionale (“retribuzione di posizione nella parte variabile”).
Parlo invece dello stipendio al netto della diversità delle proprie scuole, grandi o piccole.
Sappiamo le tre diverse situazioni stipendiali: lo stipendio di chi era preside prima del passaggio nel 2001 alla dirigenza scolastica (quando era meno complicato fare il preside); lo stipendio di chi era preside “incaricato” da docente prima di diventare “di ruolo” attraverso, soprattutto, concorsi riservati, cioè delle sanatorie; lo stipendio infine di coloro che sono diventati presidi vincendo da docenti un vero concorso, cioè un concorso ordinario, iper-selettivo e per pochi fortunati. Qui non si discutono tanti colleghi in gamba, ma l’ingiustizia della non-pari opportunità. Non c’è cioè “pari dignità”.
Quanti tra i dirigenti vincitori dell’ultimo concorso ordinario conoscono tutto questo?
Provo a spiegare.
Per coloro che erano già presidi prima del 2001 c’è la Ria, per i vecchi docenti a suo tempo presidi “incaricati” c’è ancora oggi, anche se sono diventati presidi di ruolo dopo il 2007, cioè dopo i vincitori del primo concorso ordinario (l’unico vero concorso in uno Stato serio), un assegno ad personam (sic!).
La Ria dei vecchi presidi invece è una sorta di rivalutazione, chiamata “retribuzione individuale di anzianità”, calcolata sugli anni di presidenza prima della dirigenza scolastica. Una stranezza.
Dire queste cose secondo verità è fare polemica fine a se stessa, o invece iniziare a mettere ordine nella confusione generale della burocrazia statale?
Su questo aspetto “di solidarietá”, a parte parole di rito, ciò che sconcerta è il silenzio, appunto, dei sindacati, da Anp a quelli confederali. Guidati ancora oggi, altro sconcerto, dagli stessi per tanti anni.
Sarebbe facile chiedere di alzare lo stipendio a tutti, ma l’attuale crisi non credo lo possa permettere. Ci vuole quindi un atto di solidarietà.
Qui dovrebbe emergere il ruolo di un sindacato: se non persegue diritti e solidarietà, a che pro iscriversi? Solo per la assicurazione? Ecco il motivo del vuoto culturale dei sindacati odierni.
Ce lo diciamo oramai ogni giorno: è nei momenti difficili che si possono e si devono fare le riforme serie.
Non solo. Perchè i presidi oggi hanno un’altra responsabilità: aprire per primi la strada al sistema di valutazione nel mondo della scuola.
Arriverà anche per i presidi, finalmente, una forma di valutazione, tentata anni fa col progetto Sivadis, e poi sparita nel nulla? Se dunque differenza anche stipendiale ci deve essere, è giusto che derivi da una valutazione concreta del proprio “servizio”, non dai retaggi corporativi del passato. Un sindacato serio questo dovrebbe mettere tra le proprie priorità!
A dire il vero qualcosa si sta muovendo: parlo qui del progetto VALeS, con un invito alle scuole e ai presidi italiani di accettare una sperimentazione della valutazione. Un primo passo. Ma se i presidi è giusto che vengano valutati, vanno date a loro anche le possibilità e le risorse per gestire con qualità queste responsabilità. Ad oggi discorsi ancora tabù.
Di tutto questo dovrebbero discutere i presidi nei loro incontri sindacali, contro il rischio del piccolo cabotaggio. Ma non so se è una pia illusione.
Perché, per ritornare all’ingiustizia denunciata, i sindacati non fanno una proposta semplice ed incisiva, per ragioni di equità? Basta poco: riassorbire la Ria e l’assegno ad personam ridistribuendoli in modo equo a tutti i presidi. In forma proporzionale.
Per farmi capire: con una scuola “di prima fascia”, con 2000 studenti, 165 docenti, sei indirizzi, 45 Ata, ricevo lo stesso stipendio di un collega, a suo tempo “preside incaricato”, che presiede una scuola di 600 studenti. È nessuno che si scandalizzi, tra i sindacati, ovviamente, ma in primis tra i ministeriali. Tutti indifferenti.
Lo sappiamo tutti: le cose importanti non sono quelle che convengono, ma quelle che costano. Piccole-grandi scelte di solidarietà.