Riceviamo e pubblichiamo una interessante riflessione di Sergio Catalano, un nostro lettore che ci parla del ruolo unico del docente. Di seguito il contributo:
Sono docenti, ma non possono fregiarsi del titolo di Professore, bensì di quello di maestro che però mai risulta nei documenti ufficiali di coloro tra i quali diventano dirigenti scolastici e allora si firmano come dottore o dottoressa.
Non è solo problema di titoli quello dei docenti della scuola primaria, ma il caso di migliaia di insegnanti, per la maggior parte profondamente professionali, attaccati al proprio lavoro, inadeguatamente considerato sul piano contrattuale e di conseguenza sociale.
Una professione, il cui profilo sembra navigare tra la narrativa data dal Giannetto del Parravicini, dal libro Cuore di De amicis o dalla penna del Verga e dalle aule di Scienze della formazione primaria. Infatti il profilo professionale richiede serie conoscenze sul piano della didattica generale e delle didattiche inerenti le varie discipline d’insegnamento, la psicologia dell’età evolutiva, la pedagogia e come se non bastasse la conoscenza della sempre crescente normativa scolastica e l’uso ormai indispensabile delle nuove tecnologie.
Distorsione dei nostri tempi nei quali l’importanza e l’attenzione riconosciuta alla fascia d’età tre-dieci anni richiederebbe educatori formati e competenti?
No, perché la classe dei docenti della ex scuola elementare, oggi primaria, in buona parte è costituita da professionisti classificabili orientativamente in due tipologie: i diplomati magistrali, spesso anche laureati in materie umanistiche e comunque solidamente formatisi con l’esperienza e con decine di corsi d’aggiornamento e i docenti più giovani, laureati, secondo la vigente normativa, in scienze della formazione primaria, prevista ormai dalla Legge 341/90, Riforma degli ordinamenti didattici universitari, seguita da altri interventi normativi.
Questi docenti, con un orario contrattuale ufficiale di 24 ore settimanali (22 ore di docenza più 2 di programmazione e le 80 ore annuali previste dal CCNL), percepiscono uno stipendio che mediamente presenta centocinquanta euro di differenza mensile rispetto ai colleghi della secondaria di primo grado, per toccare quota duecento se confrontato con quelli del secondo grado.
Il dibattito contrattuale si è spesso fermato sulle 18 ore dei professori, ma nessuno almeno nei dibattiti aperti ha fatto presente che esiste una parte cospicua del corpo insegnante che contrattualmente svolge 6 ore di lavoro in più, e le obiezioni sul carico di correzione dei docenti della secondaria, presentate da alcuni, decade nel momento in cui l’aritmetica ci racconta di ben 24 ore di servizio mensile in più di differenza.
I maestri, inoltre, non sono esenti dalla correzioni di quaderni di più discipline, soprattutto quelli cosiddetti prevalenti. Non si vogliono aprire guerre nel corpo insegnante, già poco coeso sul piano delle rivendicazioni salariali, ma tentare di sollecitare risposte adeguate verso una professione che vede, ancor più delle compagne, significativamente ridotta la presenza degli uomini tra le sue fila, segno della scarsa evoluzione che, nell’immaginario collettivo, ha subito e dell’ancora insufficiente riconoscimento economico conferitogli dal contratto.
Perché, allora, non affrontare con calma e chirurgica precisione una questione contrattuale che vede, una parte del corpo insegnante, la propria immagine identitaria in cammino tra la pirandelliana Maestrina Boccarmè o le reali Maria Boschetti Alberti, Maria Maltoni, e gli straordinari, ma più recenti Manzi, Lodi, Bernardini o contemporaneo collega Lorenzoni?
Tutte icone di un corpo docente che continua a lavorare, nonostante tutto, con entusiasmo. Forse servirebbe il ruolo unico, il Miur lo sa ma tace.
Sulla tematica, ecco un intervento da parte del nostro vicedirettore Reginaldo Palermo.
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