Chi ricorda chi disse: “se vengo eletto dimezzerò il tasso di disoccupazione e creerò un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro?”. Moltissimi italiani non avrebbero problemi a rispondere correttamente: Silvio Berlusconi, qualche giorno prima delle elezioni politiche del 2001, quando si impegnò, in caso di vittoria elettorale, a varare varie riforme riassunte in 5 punti.
A distanza di quasi tre lustri da quel primo “contratto con gli italiani” dell’allora capo dell’opposizione, un altro politico ha azzardato un’espressione numerica molto vicina quella. “Il governo deve assumere l’ambizione alta di un milione di posti di lavoro aggiuntivi entro la fine della legislatura. Si tratta di un percorso possibile se ricordiamo che nello stesso arco temporale, dopo la legge Biagi e con bassi livelli di crescita, producemmo un milione e mezzo di posti di lavoro in più”. A scriverlo, nella sua rubrica quotidiana pubblicata sul blog dell’Associazione amici di Marco Biagi, è stato Maurizio Sacconi (Area popolare), presidente della Commissione lavoro di Palazzo Madama.
L’ex ministro del Lavoro ha però anche alzato dei paletti, delle vere e proprie condizioni per realizzare così tanta occupazione. Tra cui il varo, non solo sulla carta, della “Buona Scuola”. Per Sacconi, infatti, “Occorre tuttavia già nella seconda parte dell’anno in corso avviare tempestivamente l’implementazione delle riforme del lavoro e della scuola ed approvare una legge di Stabilità utile a sostenere la produttività del lavoro e la domanda interna”.
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Sacconi ha anche specificato che “attuare le riforme implica la forte volontà di superare le resistenze corporative che vi si oppongono. Alzare la produttività del lavoro comporta un deciso spostamento della contrattazione collettiva verso la dimensione aziendale, grazie anche alla detassazione del salario e dei benefit lì scambiati con la maggior efficienza e competitività”.
Perché, ha proseguito il senatore, “la ripresa dei consumi si realizza da un lato con la crescita dei salari, ove i risultati dell’impresa lo consentono, e con la riduzione del prelievo fiscale sugli immobili dopo tre anni di bastonate sul mattone. Il nostro capitalismo popolare, infine, se da un lato ritroverebbe l’alimento della domanda interna, dall’altro avrebbe bisogno per riprendersi di quegli interventi fiscali che erano stati già ipotizzati in occasione dell’attuazione della legge delega: regime forfettario, tassazione per cassa, sottrazione all’Irap delle micro-attività senza stabile organizzazione, ecc…”, ha concluso l’esperto di lavoro e occupazione.
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