Dalla favola al romanzo, dai racconti popolari alla grande letteratura, attraverso la fervida immaginazione dei ragazzi, in fuga verso i mondi fantastici dove i simboli spiegano la vita e il mito media la realtà. E se perfino le avventure di Achille e Ulisse diventano gli archetipi dell’erranza e del coraggio dell’eroe, e che si trovano frammiste nelle pieghe di tutta la sapienza orale contadina, scoprire che don Fabrizio di Salina, l’immaginifico personaggio del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, possa anche lui diventare un eroe da “favola” può forse rendere meraviglia, benché già la letteratura ami per sua forza intima questi passaggi. Ed ecco allora che un testo suggestivo ma complesso e poetico, citato purtroppo anche a sproposito da una politica “spropositata” (“tutto mutare per nulla mutare” che è diventata litania insopportabile), viene deframmentato e decodificato, ma non semplificato, a uso e consumo proficuo dei ragazzi che incominciano ad affacciarsi sulle strade dell’ adolescenza. “Il gattopardo raccontato a mia figlia” di Maria Antonietta Ferraloro, La Nuova Frontiera Junior, Roma, 2017, imbocca questo versante, complicato, ma lo fa con la levità di chi conosce bene, non solo il mondo per lo più problematico di quell’età di mezzo fa l’infanzia e la maturità, ma anche le strategie didattiche per conquistarne l’anima e invogliare alla lettura che riempie e affascina quando fin da piccoli se ne assaggiano le dolcezze. Con una lingua semplice ma ricca e varia, non certo banale, dentro cui invece talvolta qualche presunto scrittore precipita, Ferraloro dipana tutte le vicende legate, sia all’autore, sia al famoso romanzo e sia al mondo intero che circonda entrambi.
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Tra i maggiori studiosi del Lampedusa e della sua opera (ricordiamo “I luoghi del Gattopardo” e “L’Opera-Orologio. Saggi sul Gattopardo”, entrambi editi da Pacini Editore), l’autrice inizia il suo racconto delineando appunto il “Principe scrittore”, gli affetti e le parentele, come quella col cugino-poeta Lucio Piccolo, amato da Leonardo Sciascia, gli affanni giovanili e gli amori, per poi passare dentro il grande romanzo, tra le sue pieghe e i suoi incanti descrittivi, le cortigianerie di una Italia in bilico tra vecchi e nuovi dominatori, e anche nel nocciolo di mondi ottocenteschi che, all’interno di danze conturbanti, si avviano alla scomparsa. Pure gli spunti storici, su cui il Tomasi ha a lungo indugiato, dall’epopea dei “mille diavoli rossi” alla scalata della borghesia al potere, diventano motivo di narrazione ai ragazzi, senza tuttavia pretese “ammaestranti”, né intendimenti di stucchevole didattica, ma presentati come veri e propri spunti di riflessione e di indagine conoscitiva, con verifica letteraria, di eventi contradditori e delicati. Una seducente lettura che con ogni probabilità non fa bene solo ai giovanissimi, a cui apre perfino le pagine scritte dai contemporanei del Principe, ma anche a moltissimi dei loro genitori che di questa Sicilia, e del Gattopardo, sanno quanto basta per assecondare qualche invadente curiosità, sorvolando magari sul segreto più intimo e struggente del romanzo stesso che Ferraloro, con la consueta levità della scrittura, svela: la nostalgia del Tomasi per un mondo ormai scomparso. Ed è uno svelamento forse che riconduce pure alla motivazione stessa di questo libro: la nostalgia per quell’età in bilico fra infanzia e maturità a cui appunto il “Gattopardo” della scrittrice è indirizzato.
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