Tra i sindacati, non è solo la Cgil a chiedere l’introduzione del salario minimo per rispondere al grado di povertà progressiva in cui è stata relegata una fetta sempre maggiore di lavoratori italiani. C’è anche chi, come l’Usb, entra nel merito. E chiede che si fissi sin da subito un salario minimo tabellare a 10 euro l’ora da rispettare in ogni contratto nazionale di lavoro.
La proposta dell’Usb “non è legata a rendite di posizione e porta con sé la lotta ai contratti a tempo determinato e al part time involontario”.
Per Usb, i 10 euro sono il minimo tabellare a cui devono corrispondere i salari dei livelli più bassi (a meno che ovviamente non esistano già contratti di maggior favore).
Anche perché, prosegue il sindacato di base, i minimi tabellari costituiscono la formula più semplice per evitare contenziosi e interpretazioni equivoche con i datori di lavoro.
Sempre Usb ritiene che “dall’approvazione della legge le parti avrebbero un tempo, da sei mesi a un anno, per adeguare i contratti alle nuove condizioni”.
La legge, sostiene ancora il sindacato di base, dovrebbe prevedere un meccanismo di adeguamento annuale o biennale in base all’andamento del costo della vita (quello che non è stato fatto finora sicuramente nella scuola, dove l’inflazione supera di gran lunga il potere di acquisto degli stipendi, come pure in tutto il pubblico per il cui rinnovo di contratto il 7 giugno riprende la trattativa all’Aran), con un riferimento a indici dei prezzi in cui siano considerati tutti i beni essenziali che influiscono sulla vita di un lavoratore.
Accanto alla legge sul salario minimo “sarebbero necessari almeno altri due provvedimenti: uno di forte contenimento dei contratti a tempo determinato, che ne limiti l’uso e li vincoli a specifiche condizioni; e un altro che combatta l’uso del part time involontario e ne rialzi fortemente la soglia oraria minima”.
Analizzando la proposta della Usb, ci si rende conto che nella scuola gli stipendi sono livellati verso il basso come non mai.
Per capirci, un amministrativo o un collaboratore scolastico lavora non meno di 150 ore al mese. E porta a casa uno stipendio iniziale poco sopra i 1.000 euro, al massimo può arrivare (se ha figli) a 1.200 euro.
Con la proposta dell’Usb porterebbe a casa quindi 1.500 euro: detraendo imposte, trattenute e previdenza, andrebbe a percepire forse anche qualcosa di più dell’attuale compenso mensile.
Tra i docenti, invece, il salario minimo in apparenza potrebbe sembrare quasi offensivo. Può un insegnante con laurea e abilitazione essere pagato appena 10 euro l’ora?
A ben vedere, però, le 10 euro l’ora forse converrebbero anche loro. Sicuramente a quelli ad inizio carriera. Vediamo perché. È provato infatti che il lavoro sommerso, fuori l’aula, quindi oltre le lezioni, negli ultimi anni è aumentato a dismisura (con la DaD ancora di più): il “Movimento docenti romani” ha calcolato che sono almeno quattro le ore al giorno dedicate al lavoro extra-lezione, considerando che nel computo vanno collocate le attività funzionali, la preparazione delle lezioni, le correzioni dei compiti, i progetti, i colloqui con i genitori e tanta tanta burocrazia.
Poiché in media si passano in classe almeno 3-4 ore al giorno (meno nella secondaria, di più nell’infanzia e primaria), si può arrivare a dire senza troppi dubbi che le 150 ore settimanali di lavoro previste da contratto per gli Ata vengono assolte anche dagli insegnanti. E che quindi i 1.500 euro indicati dall’Usb non sono poi così lontani dalla realtà lavorativa quotidiana di un insegnante italiano ad inizio carriera.
A ben vedere, se poi tutto il lavoro sommerso dovesse invece essere finalmente considerato, potremmo arrivare ad una triste realtà: oggi i docenti vengono pagati meno di dieci euro l’ora, praticamente come una colf.
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