Salta nel peggiore dei modi il Governo M5S-Lega: con uno scontro istituzionale tra i “grillini” e il Capo dello Stato, accusato di aver cassato dalla lista dei ministri Paolo Savona. A nulla è servito il tentativo dell’economista sardo di far sapere all’Italia di non essere quell’antieuropeista come tutti lo definiscono (anzi, di puntare ad un’UE più forte ed equa partendo da una scuola europea comune d’ogni ordine e grado). Perché, spiegherà in serata Sergio Mattarella, nel corso di un duro e lungo monologo, non ha mai subito nè può subire imposizioni e, di conseguenza, non ha potuto che dire “no” ad un “sostenitore della fuoriuscita dall’euro”.
A quel punto, per Giuseppe Conte, il premier incaricato con riserva, è stato inevitabile rimettere il mandato per “formare il governo di cambiamento” nelle mani del Presidente, ringraziando gli esponenti delle due forze politiche per aver indicato il proprio nome” ed avergli dato fiducia.
L’impuntatura del Capo dello Stato fa alzare la voce al capo politico del M5S (“sono stato un grande stimatore di Mattarella ma questa scelta è incomprensibile”, dice Luigi Di Maio), che in diretta tv parla di impeachment, la messa in stato d’Accusa del Presidente per alto tradimento. Di lì a poco sulla stessa linea si posiziona Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Mentre Matteo Salvini prende tempo continuando a parlare di decisione presa non al Quirinale ma a Bruxelles (di cui non saremo “mai servi, mai schiavi”).
Per il resto, tutti, Silvio Berlusconi compreso e Partito Democratico in testa, difendono a spada tratta il presidente della Repubblica. Il quale, nel frattempo, tira fuori dalla manica un “asso” inaspettato: la convocazione al Colle, già per lunedì 27 maggio, di Carlo Cottarelli, l’economista che fino a qualche mese fa non dispiaceva né al M5s né alla Lega, proprio per i progetti mai portati a termine sulla spending review.
E qui viene il bello. O, forse, il brutto. Almeno per chi ha cuore le sorti della scuola e di chi vi opera professionalmente. Perché l’esperto del Fondo monetario europeo a fine 2013 aveva preparato una “ricetta” salva-Italia che non risparmiava nessun comparto pubblico. Scuola compresa. Esattamente cinque anni fa, infatti, il piano Cottarelli prevedeva anche tagli alla scuola: in particolare, un ulteriore dimensionamento delle scuole e dell’edilizia scolastica, una “stretta” sul personale inidoneo e pure la riduzione di spesa per il sostegno agli alunni disabili. A Cottarelli non sfuggì, evidentemente, che lo Stato spendeva annualmente circa 4 miliardi di euro. Una cifra che con l’attuazione del piano straordinario di assunzioni della Buona Scuola è cresciuta ulteriormente, attestandosi tra i 5 e i 6 miliardi di euro annui, visto che i docenti sono passati da 100mila ad oltre 140mila.
A fine febbraio, però, Cottarelli nega tutto. Lo fa, dopo essere stato tirato dalla giacca da Luigi Di Maio, il quale alla Tecnica della Scuola aveva detto: “Il Piano Cottarelli è la base da cui partiamo per tagliare gli sprechi e i privilegi della politica, ma non è da prendere per intero: taglieremo solo gli sprechi per poter reinvestire i risparmi proprio sull’istruzione”.
Su Twitter, uno dei mezzi di comunicazione più utilizzati dal M5S, a fine febbraio Cottarelli replica: “nel mio piano non c’erano tagli alla scuola o in generale alla pubblica istruzione”. Perché, spiegherà ancora qualche giorno dopo, “per istruzione e cultura non spendiamo troppo”.
Come osservammo in quell’occasione, viene da chiedersi per quale motivo l’economista ha smentito il Fatto Quotidiano a ben cinque anni distanza. Eppure, la denuncia sui tagli ipotizzati all’istruzione pubblica era profonda e circostanziata: i risparmi sarebbero giunti “proprio mentre in tante città d’Italia prendono il via i test per i corsi di abilitazione si torna a parlare di tagli”, scrisse il quotidiano.
“Il piano – continuava Il Fatto Quotidiano – è ancora in fase embrionale: per il momento si tratta solo di una serie di punti (tra gli altri, anche dimensionamento delle scuole e edilizia scolastica, inidonei, finanziamento dell’università e ricerca), da sviluppare nei prossimi mesi. Ma date le premesse e l’intenzione del Miur di sanare le carenze in organico, è difficile capire come il sostegno possa rientrare in un piano di spending review”.
Una mezza conferma arrivò, sempre in quell’articolo, anche dal ministero dell’Istruzione, dove non nascosero una certa preoccupazione: “A viale Trastevere – dove sono arrivate numerose richieste di chiarimenti da parte di insegnanti e genitori – sono rimasti davvero perplessi quando hanno letto il documento”.
Dal dicastero del Miur fecero intendere, sempre al Il Fatto Quotidiano, che le ipotesi dei tagli alla scuola era più che fondate: “Noi, comunque, siamo apertissimi al dialogo, remiamo tutti dalla stessa parte: ridurre gli sprechi e razionalizzare le spese è un obiettivo comune”.
A tal fine, già ad ottobre, l’allora ministro Carrozza istituì un comitato interno per la spending review, coordinato da Daniele Checchi, professore ordinario di Economia politica presso l’Università degli Studi di Milano. “Vogliamo farci trovare pronti: quando verrà il momento proporremo noi dei settori dove è possibile razionalizzare le risorse, così da evitare – conclusero dal Miur – tagli insensati”.
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