I presidi non ci stanno: stoppare la chiamata diretta dei docenti rappresenterebbe la controriforma della Legge 107/2015.
È un vero aut aut quello che arriva dall’Anp, l’Associazione nazionale presidi e alte professionalità, a pochi giorni dalla pubblicazione delle discusse otto deleghe attuative della Buona Scuola e soprattutto a ridosso dell’accordo sempre più probabile sulla mobilità 2017/18, preannunciato dalla Tecnica della Scuola, preludio per aggirare in qualche modo il comma 73 della Buona Scuola, in base al quale già dal 2016 sarebbe dovuto entrare in vigore l’obbligo di collocare su ambiti territoriali tutti i docenti coinvolti nei cambiamenti di sede (con successivo colloquio selettivo da parte dei presidi).
Per il presidente Anp, Giorgio Rembado, il sempre probabile accordo nero su bianco del Miur con gli altri sindacati (Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola e Snals), orientato a mitigare la scelta degli insegnanti finiti negli ambiti, rappresenterebbe una sconfitta: “se la riforma della Buona Scuola non va avanti, con la chiamata dagli ambiti territoriali dei docenti e la permanenza triennale nella stessa sede di servizio, salta anche la valutazione dei dirigenti: si sono pregiudicate le condizioni per arrivare a una giusta valutazione del preside”.
Rembado reputa che il passo indietro sulla chiamata diretta condurrebbe verso una “piena controriforma”: con il risultato che avremmo “le mani legate”. Per i ds, in pratica, senza la scelta di almeno una parte del personale, cadrebbe ogni discorso di performances e di scuola dell’autonomia legata all’abilità del personale che vi opera.
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A confronto con il Miur, l’Associazione nazionale dei presidi ha ribadito la sua posizione critica sui cambiamenti alla legge 107, ribadendo tutta la sua contrarietà sull’intesa del 29 dicembre scorso. “L’Anp – spiega Rembado – sostiene da sempre la valutazione della dirigenza pubblica e della dirigenza scolastica. La valutazione, però, ha significato solo se le prerogative dirigenziali consentono un effettivo e incisivo intervento nella gestione del servizio per cui si è valutati“.
Il concetto viene ribadito dall’Associazione nazionale presidi a distanza di poche ore: sempre l’Anp, appena ventiquattrore prima, aveva parlato di “evidente contrazione degli strumenti a disposizione della dirigenza” e di sottrazione delle “prerogative dirigenziali. Non si può depotenziare l’organico dell’autonomia con deroghe continue alla legge, vanificando l’attuazione di qualunque progettazione formativa triennale. In sostanza non si può valutare il dirigente se non ha potere decisionale”.
Cosa accadrà ora? Di sicuro, per il ministro non sarà semplice gestire la situazione. Soprattutto perché senza l’apporto del primo sindacato dei presidi attuare la riforma potrebbe diventare davvero complicato. È bene che la responsabile del Miur, Valeria Fedeli, sfoderi tutta la sua arte sindacale: tra “colleghi”, del resto, ci si intende.
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