“La voce dei ragazzi reclusi negli istituti penali minorili è arrivata finalmente nelle case di tutti gli italiani grazie al monologo di Francesca Fagnani sul palco di Sanremo. Un testo che ha il merito di aver portato in prima serata le storie complesse, difficili e umane di ragazzi che hanno sbagliato, ma ai quali va data la possibilità di avere un futuro”, così Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
“L’obiettivo deve essere quello del recupero e reinserimento dei ragazzi piuttosto che la semplice applicazione di sanzioni. Servono pene su misura per i minorenni, la piena attuazione dell’ordinamento penale minorile, investimenti sulla prevenzione e sulle attività di rieducazione nelle strutture e va potenziato lo strumento della giustizia riparativa. È importante, poi, contrastare il fenomeno della dispersione scolastica, anche rafforzando la collaborazione tra istituti scolastici e tribunali per i minorenni: un ragazzo che abbandona precocemente la scuola va immediatamente segnalato perché può rischiare prendere una strada sbagliata”.
Si tratta di temi sui quali l’Autorità garante è impegnata da tempo e ai quali ha dedicato l’ultima Giornata mondiale dell’infanzia lo scorso novembre.
Questo il monologo della giornalista e conduttrice televisiva Francesca Fagnani nella seconda serata del settantatreesimo Festival di Sanremo:
“Hanno picchiato, hanno rapinato, hanno ucciso. Alla domanda “perché l’hai fatto?” però non trovano risposta; risposta che vorrebbero avere, che cercano, che abbozzano, ma la risposta non esce, perché è inutile cercarla così, lo sanno, bisogna andare al giorno prima, alla settimana prima, al mese prima, alla vita prima. Hanno 15 anni e gli occhi pieni di rabbia, occhi pieni di vuoto. Hanno 18 anni e lo sguardo è perso oppure è sfidante”.
“Hanno occhi che chiedono aiuto, senza sapere quale aiuto, senza sapere a chi chiedere aiuto – continua la giornalista – La scuola l’hanno abbandonata, ma nessuno li ha mai cercati, non la preside, ma neppure gli assistenti sociali che o non ci sono o sono troppo pochi per certe periferie, e le madri e i padri, quelli che c’erano non ce l’hanno fatta”.
E racconta di come la scuola dovrebbe essere la soluzione: “Quando ho intervistato adulti finiti in carcere, per reati gravissimi, ho chiesto loro: “Cosa cambieresti della tua vita?”. Quasi tutti mi hanno dato la stessa risposta: “Sarei andato a scuola”, perché se nasci in quel quartiere, in quel palazzo o da quella famiglia, è solo tra i banchi di scuola che puoi intravvedere la possibilità di una vita alternativa a quella già scritta per te da altri”.
In Italia, salvo qualche bella eccezione, la prigione serve solo a punire il colpevole, non serve a rieducare, né tanto meno a reinserire nella società chi entra.
“Se non faremo in modo che chi esce dal carcere sia meglio di come è entrato, – conclude la Fagnani – sarà un fallimento per tutti. E se non ci arriviamo per civiltà, per umanità, per rispetto dell’art. 27 della Costituzione, arriviamoci per egoismo. Conviene a tutti che quel rapinatore, quello spacciatore, una volta fuori cambi mestiere”.
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