Nel libro di Serena Dandini “Ferite a morte” l’autrice immagina le vittime di femminicidio che parlano fra di loro in Paradiso, quella città celeste, perfetta e definitiva che accoglie i giusti.
“Ho immaginato un paradiso popolato da donne ferite a morte – scrive la Dandini – sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono stati ai patti, che hanno pagato con la loro vita la loro disubbidienza”. Immagina queste donne libere di raccontare la loro storia: non hanno potuto difendersi e vogliono essere di esempio per chi può ancora salvarsi.
La violenza di genere è sempre esistita; molte hanno resistito preferendo la morte alla privazione dei loro diritti e della loro dignità. La tradizione cristiana le considera “martiri della dignità delle donne”.
Nel 1950 Papa Pio XII fa santa Maria Goretti, dodicenne uccisa per aver resistito alla violenza di un vicino di casa. Anche Papa Giovanni Paolo II ha beatificato quattro italiane e una polacca, giovani donne che hanno resistito alla violenza sessuale fino a morirne.
Donne forti che hanno saputo affrontare la morte perché sorrette dalla fede, morte e seviziate per aver disubbidito a un padre o a un pretendente; nulla è cambiato nei secoli, le modalità possono essere varie, ma la difesa della libertà di scelta è unica e assoluta.
Tra quelle donne ne troviamo alcune a noi più vicine perché note in Sicilia in quanto oggetto di culto e testimoni di fede: le loro storie si intrecciano con leggende tramandate da secoli.
Agata, patrona di Catania, sfida il potere, rivendicando la propria libertà di scegliere la consacrazione a Dio. Il suo martirio nasce dal rifiuto di essere trattata come un oggetto, di essere sottomessa alla corruzione morale e al ripudio della fede. È processata, sottoposta al martirio e al supplizio dei carboni ardenti.
Rosalia, patrona di Palermo, è vittima di pressioni familiari per un matrimonio forzato: riesce a sfuggirvi per mezzo dell’eremitaggio.
Barbara, patrona di Paternò, vittima della gelosia di un padre padrone, abbraccia la religione cristiana, ma il padre, la denuncia a un magistrato romano che la condanna alla decapitazione.
Lucia, patrona di Siracusa, è promessa sposa contro la sua volontà a un giovane patrizio, il quale rifiutato la denuncia come cristiana. Martoriata, muore decapitata.
Quattro delle numerose Sante venerate nella nostra Regione, che sono onorate con feste straordinarie, conosciute in tutto il mondo, miste di devozione e di folklore. Il loro martirio si può annoverare tra i femminicidi.
Agata, Rosalia, Barbara, Lucia e molte altre sono morte per difendere il loro diritto di scelta. Riflessioni che le fanno vedere in un’altra ottica, che le mostrano tragicamente attuali e vicine: vittime di violenza, testimoni di libertà.
A questo proposito noi, donne e cittadine siciliane, cattoliche, riteniamo giusto che le Amministrazioni Comunali siano attente alle tradizioni e alla sensibilità della popolazione e che contribuiscano – anche con un impegno economico – alla riuscita di queste feste.
Al contempo pensiamo che sarebbe un gesto simbolicamente forte e opportuno, oltre che profondamente cristiano, dedicare una parte delle somme stanziate in queste occasioni ai Centri antiviolenza, attivi nelle nostre città, sempre esposti a vita difficile per carenza di sostegno pubblico.
Se le Amministrazioni Comunali scegliessero di decurtare le spese per l’aspetto tanto scenografico e plateale quanto effimero dei festeggiamenti, in favore dello scopo da noi proposto, sarebbero non solo promotrici di un importante supporto sociale, ma anche di un positivo e fondamentale messaggio educativo: nel ricordo della vita delle Sante martiri che forse ne sarebbero più contente.
Angela Giardinaro
Presidente Provinciale UCIIM Catania