Con una intervista a Edication 2.0 la deputata spiega il suo progetto.
“Con l’indagine conoscitiva sulla dispersione scolastica abbiamo voluto capire come cambiava il fenomeno. Gli abbandoni in Italia stanno calando, ma troppo lentamente. Se prendiamo il dato degli early school leavers, cioè i ragazzi tra 18 e 24 anni che non sono né a scuola né al lavoro, siamo al 17%. Se invece misuriamo la differenza tra quelli iscritti al I anno delle superiori e quelli al V, allora abbiamo anche un 27% di media. Anche presupponendo che una parte di questi studenti dispersi sia nella formazione professionale o nelle paritarie, comunque è una cifra molto alta. Soprattutto pensando che in alcune regioni, specie del sud, raggiunge il 30%. La disuguaglianza tra le aree del paese e la mancanza di anagrafi che possano chiarire il fenomeno sono i primi punti che abbiamo evidenziato. Vorrei sottolineare però il dato politico: vogliamo darci come obiettivo di raggiungere il 10% degli early school leavers nel 2020, allineandoci all’Europa”.
Sul che fare la deputata ha detto che “esperti, funzionari Miur, docenti e associazioni hanno fornito un quadro ampio di possibili strategie che vogliamo mettere a disposizione del Governo per affrontare il fenomeno. Se consideriamo il ciclo scolastico, dobbiamo partire dall’estensione dei servizi per l’infanzia, arrivare a una maggiore autonomia della scuola nel configurare ambienti di apprendimento che rendano attraente l’apprendimento, agire sulle bocciature nel I biennio, potenziare l’istruzione professionale che oggi viene finanziata meno della scuola, aprire la governance della scuola all’associazionismo, investire di più sugli alunni di cittadinanza non italiana, che spesso hanno un ritardo dovuto alla storia di emigrazione. Io non escluderei di ripensare il riordino dei cicli, – con l’eventuale “taglio” di un anno – nella prospettiva di ridurre la dispersione e gli abbandoni, non tanto perché dobbiamo Introdurre prima i giovani nel mercato del lavoro. Le strategie sono tante e a diversi livelli, occorrerebbe agire su vari piani contemporaneamente perché i soggetti interessati sono diversi”.
“La scuola”, ha continuato nell’intervista a Education 2.0, “così come è organizzata oggi, non risponde alle modalità di apprendimento delle nuove generazioni e non soltanto perché pensano “in digitale”. Mi riferisco ad esempio al ruolo della corporeità, delle emozioni e della manualità che vengono puntualmente trascurate, mentre i risultati delle neuroscienze vanno in direzione opposta. Bisognerebbe favorire tutte le didattiche cooperative, e invece sfruttiamo solo la molla della competizione. Gli ambienti vanno ridisegnati, i tempi resi più flessibili. Questo non vuol dire che si possa rinunciare all’esercizio, l’apprendimento è faticoso comunque e per alcuni apprendimenti la modalità mnemonica resta utile. Ma – ad esempio – la didattica della matematica e delle scienze, invece si deve avvalere di procedure di ricerca. Insomma sogno un rinnovamento della didattica dal basso, cioè a partire dai docenti che già ora sperimentano innovazione e adattamenti”.