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Sanzioni al posto della prevenzione, la sfida educativa messa da parte dalla scuola. Lo afferma in Francia il ‘Café Pédagogique’

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‘I nostri giovani amano il lusso, non conoscono le buone maniere, si prendono gioco dell’autorità e non hanno alcun rispetto degli adulti, ai nostri giorni i bambini sono dei piccoli tiranni.’ In quanti, oggi, potrebbero avere pronunciato una frase come questa? Psicanalisti, pedagogisti, docenti, ma anche genitori e persone comuni, non necessariamente esperte in questioni educative lo hanno certamente fatto. Eppure… si tratta di un pensiero espresso da Socrate più o meno nel 400 a.C. 

Lo ricorda Bruno Devauchelle, pedagogista, ricercatore universitario e saggista, che in un articolo sul Café Pédagogique di qualche giorno fa si interroga sul principio di autorità e sull’idea di educazione, sui provvedimenti coercitivi che alcuni ritengono indispensabili per l’ordine e la disciplina in ambito scolastico, contrapposti alle misure quotidiane di prevenzione che dal punto di vista educativo sembrerebbero più appropriate e fruttuose a lungo termine.

La citazione socratica conferma che la questione non è nuova, ha interessato e continuerà a interessare tutte le generazioni.

Devauchelle parte proprio dall’idea di prevenzione, rammaricandosi del fatto che da qualche anno questa sfida educativa sia stata messa da parte e sostituita da misure più ‘semplici’ e di immediata esecuzione: le sanzioni, che mostrano il volto repressivo degli adulti nei confronti delle nuove generazioni.

Come nel caso del divieto totale di utilizzo dei telefonini alle elementari e alle medie, durante tutte le attività, sia scolastiche che extrascolastiche. Sul sito del Ministero francese dell’Educazione Nazionale si legge che la misura  è stata adottata non soltanto per migliorare l’attenzione e la concentrazione degli alunni, ma anche come antidoto al cyberbullismo e alla diffusione di immagini e contenuti violenti o pornografici.

Tuttavia, non ci si può nascondere dietro un dito e pensare che basti un divieto a risolvere la questione. Lo sviluppo del digitale e la conseguente ‘deflagrazione’ di internet e dei social – continua Devauchelle nel suo articolo – sono stati talmente rapidi e invasivi che il mondo della scuola si è sentito minacciato. L’adesione massiccia dei giovani, ma non solo, a queste nuove tecnologie ha destabilizzato un po’ tutti gli educatori.

La Scuola, dal canto suo, ha spesso adottato strategie ‘schizofreniche’: da un lato si è dotata di computer, tablet, Lim e ha incentivato l’uso dei libri digitali; dall’altro ha posto paletti, divieti e interdizioni: niente smartphone a scuola. Ma questa deriva autoritaria non ci deve stupire – argomenta il pedagogista – perché è semplicemente il segnale del disagio e dello smarrimento che attanaglia in questo momento gli educatori e gli adulti in generale.

Passato il momento di disorientamento, che risposte deve dare la Scuola? Si può educare all’uso di un oggetto – si chiede Devauchelle – facendo scomparire l’oggetto stesso dallo spazio scolastico?

È l’ora di una riflessione collettiva e di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti i docenti, il nuovo mondo informatizzato e digitale si costruirà soltanto se i giovani impareranno a viverci, a capirlo, prendendolo per mano in un quadro etico, politico e filosofico chiaro, compreso e condiviso.