L’ordine professionale dei docenti non si farà. E dunque bisognerà mettere mano al codice disciplinare dei docenti discutendone al tavolo negoziale. L’inasprimento del vincolo gerarchico dirigente-docente, dovuto al conferimento della dirigenza ai presidi e ai direttori didattici rimarrà tale, infatti, anche nella scuola dell’era Moratti.
I motivi a monte della necessità di rivedere il codice disciplinare sono essenzialmente due. Ecco il primo. L’articolo 69 del decreto legislativo n. 165/2001 dispone l’obbligo di recepire nei contratti collettivi (pena la decadenza) le norme pubblicistiche che regolano i vari istituti del rapporto di lavoro.
Uno di questi è quello che riguarda le sanzioni disciplinari, attualmente regolato da norme che parlano ancora di "destituzione" in luogo di "licenziamento", in quanto formate in un periodo in cui il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici era regolato dal diritto pubblico.
Il secondo motivo, invece, è costituito dalla natura dello stato giuridico del docente di scuola pubblica che, a tutt’oggi, è equiparato a quello dell’impiegato. Fatta salva, però, la libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione.
Ciò non di meno, considerando che la procedura per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari dovrebbe comunque prevedere l’acquisizione di pareri da parte degli organi collegiali, le parti hanno convenuto di rimandare la discussione dell’istituto. Per lo meno fino a quando non sarà varata la riforma degli organi collegiali che, peraltro, dovrebbe essere imminente.
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