Come già si è detto da più parti: un docente è docente, nel senso di autorevolezza e senso della misura, sia dentro sia fuori dalla scuola.
E, come docente, sa che deve assumersi le proprie responsabilità.
E’ questa la grande forza della scuola, è questo il profilo della stragrande maggioranza di presidi, docenti, dsga, personale ata. Nonostante i limiti di gestione del personale e delle risorse ai vari livelli.
Forse che dovrebbe essere, questo, un pre-requisito per coloro che si affacciano, con i concorsi ordinari o riservati (non-selettivi?), al mondo della scuola, al mondo della formazione.
Per questo dispiace leggere la rettifica, forse suggerita dal proprio avvocato, della docente che ha insultato il vice-brigadiere morto nell’esercizio delle sue funzioni.
“Non sono stata io”, avrebbe dichiarato, dopo le scuse “per quello che ho fatto”.
Mai abdicare alle proprie responsabilità, nota giustamente Marco Campione, e invece dimostrare davvero, anche con questo coraggio, di avere capito che le parole devono sempre essere pensate, prima di essere scritte.
Scappare dalle proprie responsabilità non è azione ancora peggiore dello stesso post?
Che cosa noi chiediamo in fondo ai nostri ragazzi, se non pensare, studiare, approfondire, cercare di capire… prima di parlare, di esprimere le proprie o altrui opinioni?
Non diciamo che le opinioni da sole non dicono nulla, se non sono sorrette da argomentazioni, verifiche ai vari livelli?
Detto, cioè, in linguaggio stringato: l’immediato in quanto immediato, per essere compreso, deve (non può non) essere negato, cioè sottoposto al vaglio della negazione, la quale, se vale come esercizio di intelligenza, si deve poi manifestare come autonegazione che a sua volta si rivela auto-contraddittoria. Dunque, solo se supera questo vaglio l’opinione, passata dall’esercizio dell’intelligenza, si rivela essere vera, cioè universale e necessaria. Fino a nuova prova di autonegazione.
Questa è la fatica, ma direi anzitutto la bellezza, del fare scuola.
Che una docente non l’abbia compreso, e non l’abbia poi fatto propria, la dice tutta sulla difficoltà di individuare docenti che siano davvero autorevoli, competenti, capaci, al di là del nozionismo specialistico che possono possedere.
Per questo diciamo che sapere e sapere insegnare non sono la stessa cosa.
Ma può sussistere un sapere di sapere, in se stesso, senza l’esercizio dell’intelligenza?
I concorsi tutta forma, messi a bando, con tutti quiz di oggi, soprattutto quelli non-selettivi, ci aiutano ad individuare i “maestri” per i nostri ragazzi?
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