Il rapporto Censis 2017 dipinge un ritratto a tinte fosche dell’Italia, nonostante i dati di crescita di questi ultimi mesi.
Il ritratto di un Paese impaurito e sfiduciato con cui dovremo fare i conti. E che sarà un problema per chiunque governerà (e non solo).
“Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica – sottolinea il Censis – e il blocco della mobilità sociale crea rancore”.
Ecco quindi che l’87,3 per cento degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, esattamente come l’83,5 per cento del ceto medio e il 71,4 per cento di quello benestante. “La paura del declassamento – si legge nel rapporto – è il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3 per cento di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3 per cento che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso”.
Il risultato di questo “malessere” è ovviamente una modifica, profonda, del nostro immaginario collettivo che “ha perso forza propulsiva”. Al primo posto ci sono i social network (32,7 per cento), seguiti dal “posto fisso” (29,9 per cento), dallo smartphone (26,9 per cento), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1 per cento) e dal selfie (21,6 per cento), prima della casa di proprietà (17,9 per cento) e del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9 per cento).
A Il Sole 24 Ore, Chiara Saraceno, tra le voci più illustri e autorevoli della sociologia italiana ed europea, commenta con amarezza i dati del Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. E non ha esitazioni nell’indicare il colpevole: la politica. Quella che cavalca il rancore senza avere un orizzonte e quella che ha tradito l’ascolto e le aspettative della parte sana e propositiva della comunità.
“È una crisi della politica che si rovescia nel voto ai populisti, che è più “contro” che “pro”. Il permanente successo dei Cinque Stelle, nonostante per ora non abbiano dato una grandissima prova di sé, è più la manifestazione di un “contro”: ‘Tutto purché non questi che ci hanno traditi’.”
“Anche le cose buone che sono state fatte sono state fatte senza cura per l’aumento delle disuguaglianze. Il divario tra chi guadagna tanto e chi guadagna poco o niente si è ampliato con scarsissima attenzione: la risposta è stata distribuire qualche bonus qua e là. Adesso c’è il Rei, il reddito di inclusione, ma non c’è confronto tra l’aver tolto l’Imu e i 480 euro per una famiglia di cinque persone. E poi riconosciuti tardivamente, con fatica. Si pensi alla velocità con cui sono stati approvati gli 80 euro e a quanto ci è voluto per il Rei. C’è una mescolanza di rancori anche di gruppo, che si sommano e possono entrare in conflitto gli uni con gli altri”.
“Le donne sono strette tra la rassegnazione per cose che non cambiano mai e l’insofferenza. Che potrebbe persino essere costruttiva, potrebbe portare a cambiare le regole. Ma anche le disuguaglianze tra donne stanno aumentando: tra quelle che riescono a entrare nel mercato del lavoro e quelle che non ci riescono, tra le più istruite e le meno istruite, addirittura tra quelle senza figli e quelle con figli. La competizione è tale che rende difficile individuare obiettivi comuni. Non a caso, lo dico con una certa cautela, l’unico tema che unifica e che fa scendere in piazza non è l’assenza di servizi ma la lotta alla violenza, e neanche quello fino in fondo. Non è bello”.
Rimedi? “Senza incorrere nel mito che i cittadini sono migliori dei politici, che non è vero, io credo che ci sia ancora in questo Paese una ricchezza di persone che hanno voglia di fare, di mettersi in gioco: non solo rancorosi, ma costruttivi. È che anche loro sono sfiduciati perché non trovano interlocutori. La politica dovrebbe cominciare a interloquire un po’ di più, ad ascoltare. Invece non lo sta facendo per rincorrere i diversi rancori. È una competizione al ribasso. Ci si schiaffeggia in pubblico, basta avere qualche follower su Instagram per diventare padri della Patria o persone che possono parlare di tutto. Il sistema è autoreferenziale in modo disperante: una ripetizione continua senza dialogo con quel che avviene fuori. Allora altro che sfiducia”.
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