Un alunno su due delle scuole primarie e secondarie italiane di primo grado non ha accesso alla mensa scolastica. L’assenza di regole condivise, inoltre, contribuisce all’ampia disparità nelle modalità di accesso e di erogazione del servizio. A rilevarlo è il rapporto “(Non) Tutti a Mensa 2017”, quarta edizione del monitoraggio realizzato nell’ambito della Campagna “Illuminiamo il Futuro” da Save the Children alla vigilia dell’inizio dell’anno scolastico.
In altre parole, dice l’Organizzazione in 8 regioni italiane oltre il 50% degli alunni, più di 1 bambino su 2, non ha la possibilità di accedere al servizio mensa, mentre ben cinque regioni del Meridione registrano il numero più alto di alunni che non usufruiscono della refezione scolastica: Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (69%), Campania (65%) e Calabria (63%).
Cifre scandalose, a cui bisogna aggiungere un altro dato inquietante: quattro Regioni del Sud registrano anche la percentuale più elevata di classi senza tempo pieno (Molise 93%, Sicilia 92%, Campania 86%, Puglia 83%), superando ampiamente il già preoccupante dato nazionale, stando al quale circa il 69% di classi non offre questa opportunità. In quattro delle stesse regioni si osservano anche i maggiori tassi di dispersione scolastica d’Italia (Sicilia 23,5%, Campania 18,1%, Puglia 16,9%, Calabria 15,7%).
Inoltre, rivela Save the Children, il servizio mensa non è presente in modo uniforme nelle scuole dei territori: solo in 17 comuni è disponibile in tutti gli istituti primari. Sono Reggio Calabria, Siracusa e Palermo le città in cui la refezione scolastica è presente in un numero di scuole inferiore al 10%. Osservando, invece, il numero di alunni che ne usufruisce, è stato rilevato che 17 comuni offrono la mensa a meno del 40% dei bambini, con cifre al di sotto del 5% nei comuni già menzionati: Reggio Calabria e Siracusa con beneficiari del servizio sotto alla soglia dell’1% e Palermo con poco più del 2%. In quattro comuni, invece, a fruirne è il 100% degli alunni (Cagliari, Forlì, Monza, Bolzano).
Relativamente alle tariffe, un quarto dei comuni afferma di non prevedere l’esenzione totale dal pagamento della retta né per reddito, né per composizione del nucleo familiare, né per motivi di carattere sociale. Di questi, 8 ammettono tale possibilità solo in caso di disagio accertato tramite la segnalazione da parte dei servizi sociali. Tre (Bolzano, Padova e Salerno) escludono anche questo tipo di eccezione.
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Per quanto riguarda le agevolazioni, sono comunque disomogenee, con l’applicazione di criteri diversi e che sommano, in taluni casi, le soglie reddituali a motivazioni di natura familiare o sociale. Nei comuni monitorati le tariffe massime variano dai 2,30 euro (Catania) ai 7,28 (Ferrara), mentre quelle minime vanno da 0,30 (Palermo) a 6 euro (Rimini). Il risultato di questa disomogeneità è che, per esempio, la tariffa minima di Rimini (6) corrisponde quasi al triplo della tariffa massima prevista a Catania (2,30).
Una famiglia con un reddito annuale medio (ISEE 20.000 euro) pagherebbe una tariffa uguale o inferiore a 3 euro in 8 comuni, mentre in 13 sarebbe applicata loro una tariffa uguale o superiore a 5 euro. Un nucleo con reddito annuale basso (ISEE 5.000 euro) sarebbe esentato dal pagamento in 9 comuni, a Rimini, Bergamo, Modena e Reggio Emilia pagherebbe una tariffa superiore a 3 euro. In ogni caso 27 comuni lo esenterebbero in caso di segnalazione dei servizi sociali..
Infine anche la compartecipazione delle famiglie ai costi è disomogenea: varia da un massimo nei comuni di Bergamo, Forlì e Parma, che riferiscono di caricare sulle famiglie il 100% circa del costo, a un minimo dichiarato da Bari (30%), Cagliari, Napoli e Perugia (35%).
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