“Pestare per uno sguardo, sparare per niente”.
“Dopo i casi di Arturo, 17 anni, accoltellato in strada da 4 coetanei, e Gaetano, 15, picchiato a sangue da 15 ragazzini, a Napoli torna al centro dell’attenzione la violenza giovanile. Poi la nuova aggressione di una baby gang a due ragazzini per il cellulare”.
Raccogliamo dalla cronaca e a seguito di questi penosi fatti, il giornalista e scrittore, Roberto Saviano, ha così commentato attraverso un video su La Repubblica e un post su Facebook:
“A Napoli questa violenza non è un fenomeno di oggi. La situazione è la stessa, da vent’anni. Sì ma oggi è più grave, qualcuno obietterà. Vero, oggi è più grave perché si è troppo a lungo sottovalutato il problema, che non è solo di Napoli ma che a Napoli ha assunto proporzioni drammatiche. A cosa vengono educati i bambini e poi i ragazzi nelle scuole? Quando le famiglie sono assenti o non hanno strumenti chi riempie il vuoto? Cosa riempie il vuoto? E quindi? Qual è la soluzione? Scuole aperte, ma aperte davvero. Scuole non fatiscenti e, soprattutto, popolate da un esercito di maestri, un esercito di professori: sono loro l’unico vero antidoto alla barbarie”.
Siamo d’accordo con Saviano, e considerazioni simili li abbiamo già sentiti anche da altri illustri personaggi e da anni, ma forse, per chi si trova in trincea ogni giorno nelle scuole di confine, si rende conto che poi così facile non è tenere sempre aperte le scuole.
Intanto facciamo subito presente che proprio a questo scopo, per combattere devianze, dispersioni, abbandoni, bullismi sono stati investiti milioni di euro provenienti dal Fondo Sociale Europeo e Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, gestiti attraverso specifici programmi Pon (Programmi Operativi Nazionali) e i Por (Piani Operativi Regionali), ma sui cui esiti ben poco si è saputo, mentre per lo più le attività proposte ai ragazzi a “rischio”, nelle ore post curriculari a scuola, hanno rispecchiato nelle grandi linee (e quindi non dovunque anche perché è mancata, a nostra conoscenza, una pubblicazione dettagliata sugli risultati) la tradizionale didattica, con lezione frontale o intrattenimenti di varia natura.
In ogni caso questi investimenti europei non sembra abbiano prodotto grandi risultati, come d’altra parte la denuncia di Saviano dimostra, nonostante appunto i soldi fossero arrivati e le scuole abbiano messo in campo le loro risorse umane e materiali.
Certamente questi progetti sono stati limitati nel tempo e a conclusione del monte ore finanziato si sono dovuti chiudere, mentre l’idea di Saviano è quella di lasciare la scuola aperta per supplire, là dove è richiesto, la latitanza della famiglia e delle istituzioni: “scuole aperte, ma aperte davvero”: ma “davvero” come?
San Giovanni Bosco, già nell’800, capì benissimo cosa fare per i ragazzi, poveri e diseredati, che frequentavano la strada, e supplì lo Stato del tempo con gli “Oratori”, ma oggi?
Per aprire una scuola, così come Saviano, e non solo, la vorrebbe, occorre innanzitutto retribuire tutto il personale addetto, compresi gli Ata, e poi provvedere all’aumento dei costi che ci stanno dietro: delle bollette (riscaldamenti, corrente elettrica) all’uso delle attrezzature, dalle assicurazioni alle pulizie, ai materiale di cancelleria, ecc.
Ma posto pure che i fondi si trovassero, che tipo di attività proporre a questi ragazzi che non amano sicuramente stare seduti sui banchi e ascoltare le solite lezioni dei prof?
Musica, teatro, danza, pittura, scultura, sport, fotografia ecc. ecc. potrebbero fare al caso in esame: siamo d’accordo. Ma a chi affidarli? A volontari accomodati alla meglio o a professionisti?
“A un esercito di insegnanti”, suggerisce lo scrittore. D’accordo. Ma chiamati come e da chi? E in base a quali titoli? Con quali parametri? Il docente non è un superuomo, ha anche lui cambiali in scadenza, figli con problemi, mutui, ecc., e si porta appresso ogni mattina pure lui questi fardelli. Ma non solo. E’ notorio che proprio nelle scuole di periferia e ad alto rischio ci vanno soprattutto i docenti di prima nomina, perché quelli da tempo stabilizzati, per lo più, chiedono, appena possibile, il trasferimento verso istituti più tranquilli, più gestibili e comunque meno problematici.
Questo aspetto fra l’altro lo ha messo in luce una preside di una scuola di periferia siciliana, che si vedeva i docenti di ruolo andarsene alla prima occasione possibile, per essere sostituiti da supplenti o da nuove nomine, del tutto poco preparati a gestire situazioni tanto difficili e particolarissimi.
L’alternativa allora qual è, per venire incontro alla proposta di Saviano? Difficile, a nostro avviso.
Una strada praticabile potrebbe essere quella promossa in Nazioni come la Finlandia.
Qui si è cercato di incentivare, ma seriamente e con stipendi assai pesanti, docenti di lungo corso, con una robusta esperienza sulle spalle, selezionati sulla base di curriculum affidabili e poi inviati in queste scuole “difficili” con uno staff di esperti aggiornati e sapienti; ma soprattutto non lesinando né fondi, né strutture, né mezzi a cominciare dagli arredi e dal decoro edilizio, perché anche da lì inizia il confine fra Stato, che deve apparire ed essere organizzato ed efficiente, e la malavita, il degrado, la violenza, la sopraffazione, la barbarie come dice Saviano.
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