Stavolta la polemica non viene innescata dall’esito di una sentenza favorevole o da dichiarazioni pre-elettorali: a determinare le reazioni è stata la comunicazione, risalente al 29 dicembre, emessa dal ministero dell’Economia e delle Finanze di ufficializzare il bonus degli scatti biennali nei confronti di tutti gli insegnanti con incarico annuale o di ruolo che insegnano religione cattolica a partire dal 1° gennaio 2003.
Della decisione del Mef di premiare questa categoria di docenti, a patto che non abbiano mai richiesto tale indennità sotto forma di assegnoad personam, si sono subito risentiti i docenti di tutte le altre materie. Ma anche alcuni partiti politici (su tutti i radicali) e soprattutto le organizzazioni sindacali, soprattutto quelle più laiche (come la Gilda) e vicine agli interessi dei precari. Come l’Anief, secondo cui la concessione degli scatti biennali ad una ristretta cerchia di docenti dimostrerebbe che “ancora una volta il Governo dimentica i precari della scuola”. Il ragionamento del sindacato degli educatori in formazione si basa sul fatto che il 90% degli attuali docenti di religione è stato assunto solo partire dal 2005; quindi si deduce che due anni prima era in grandissima parte precario. Determinando così la differenza di trattamento tra precari che lavorano per la stessa amministrazione e, soprattutto, percepiscono lo stipendio dalla stesso “datore del lavoro”.
Le proteste per questo genere di situazione non sono certo una novità.
Ad alimentare le speranze dei precari della scuola, in particolare quelli di lunga data, era stata una sentenza della Corte di giustizia europea (emessa dalla Sezione II della Corte di Giustizia delle Comunità europee) del settembre del 2007, in base alla quale era stato stabilito che gli scatti di anzianità andrebbero assegnati, secondo il principio di non discriminazione, a tutto il personale precario statale utilizzando gli stessi parametri già adottati per i lavoratori assunti a tempo indeterminato.
In quell’occasione il ricorso era stato presentato da un lavoratore spagnolo precario che si era rivolto alla Corte europea dopo essersi visto negare dal suo Paese la possibilità della progressione di carriera: per i giudici di Lussemburgo sarebbe stata “del tutto legittima l’attribuzione, ad un lavoratore a tempo determinato, di scatti di anzianità che l’ordinamento nazionale riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato”. Nel corso dei mesi a seguire la sentenza sono stati diversi i raggruppamenti a livello nazionale, spesso sostenuti dai sindacati, ad intraprendere iniziative analoghe. Ma il cui esito è ancora lontano dal compiersi per le note lungaggini della giustizia.
La differenza di trattamento economico, del resto, è tutt’altro che irrisoria: in base ad alcune stime sindacali, godere degli scatti stipendiali ogni due anni significa usufruire di un incremento pari al 2,5%. Che corrispondo a tre scatti, ossia 6 anni di anzianità. In termini pratici dieci anni con questo trattamento equivalgono a circa 220 euro in più in busta paga.
In Italia il meccanismo di aumento fu istituito con una legge del 1980 al personale di religione per dare un incentivo ad una categoria che sembrava in quel momento destinato al precariato a vita. I docenti delle altre materie hanno hanno praticamente subito contestato la norma, ma i motivi di bilancio (e non solo) fecero applicare gli aumenti biennali solo a quelli di religione.
D’altronde, visti i mastodontici numeri del personale in servizio nella scuola italiana, se la legge fosse stata applicata in maniera indistinta avrebbe creato non pochi problemi per il Mef: considerando l’alto numero di insegnanti in ruolo della scuola italiana (circa 700.000) e che nel nostro Paese si fanno supplenze mediamente per un periodo che va tra i cinque e i dieci anni (in alcuni casi anche venti e oltre), solo gli arretrati dell’ultimo decennio ammonterebbero a circa 2 miliardi e mezzo di euro.