Ogni settimana un appuntamento con la rubrica “Sulle spalle dei giganti”, i grandi della scienza raccontati sotto un punto di vista storico.
Se oggi potessimo sbirciare nel laboratorio di un alchimista rinascimentale vi troveremmo strumenti, animali, piante, minerali tutti necessari per compiere una serie di esperimenti volti a conoscere le leggi con cui opera la natura e a utilizzarle. Faticheremmo a distinguerlo dal laboratorio dei “filosofi naturali”, dunque da quelli degli scienziati dell’epoca.
Inoltre anche per ciò che concerne i risultati, le differenze non erano così evidenti: i grandi alchimisti del passato come Cornelio Agrippa, Alberto Magno o Paracelso effettuarono scoperte di notevole rilievo teorico e applicativo per i loro tempi. Le loro ricerche furono un punto di partenza importante per quelle dei secoli a venire. Il discorso non cambia quando concentriamo la nostra attenzione sui protagonisti di queste due discipline: sappiamo bene infatti che numerosi filosofi naturali erano appassionati di esoterismo, alchimia e cabala. Newton è solo uno dei tanti esempi illustri, ma furono tanti gli astronomi che si applicarono con passione e rigore all’astrologia e che possedevano una visione magica del cosmo e delle sue leggi. Molto spesso dunque la figura del “mago” e quella dello “scienziato” si sovrapponevano.
Dunque se i confini appaiono così sfumati e incerti nelle metodologie, nei risultati e perfino nei protagonisti, qual è la differenza fra queste due forme di sapere? La differenze risiede nei valori alla base delle due discipline: se il mago infatti cercava la pietra filosofale ovvero una forma di sapere superiore, perfetto, ma accessibile a pochi eletti e provava a ottenere la trasmutazione dei metalli in oro, quindi ricchezza, anche in questo caso riservata ai maghi e a una ristretta cerchia di suoi adepti, la scienza, pur partendo da un terreno sperimentale e applicativo comune, si emancipò progressivamente in ragione di una serie di valori contrapposti.
Per la scienza il sapere non può essere esoterico, bensì deve essere essoterico ossia condivisibile, trasmissibile, accessibile e chiaro a tutti, perché tutti gli esseri umani, se adeguatamente formati e motivati, possono conoscere. La conoscenza non deve essere riservata a pochi, ma deve appartenere a tutti, e deve essere donata e trasmessa alle nuove generazioni: questo perché ai filosofi dell’epoca era chiaro che progresso non significa solo avanzamento tecnologico, ma anche avanzamento culturale, filosofico e morale. Perché maggiore conoscenza significa maggiore responsabilità e dunque se vogliamo che il sapere diventi fonte di benessere è necessario che tutta la comunità sappia accoglierlo e inserirlo nel proprio orizzonte culturale.
Quando oggi parliamo di conoscenza scientifica è fondamentale riflettere sui valori di questa rivoluzione culturale che oggi non sono più solo alla base del sistema scienza, ma anche della democrazia e più in generale del pensiero occidentale moderno. Gli ideali che hanno dato vita a questo processo filosofico sono infatti gli stessi che hanno generato le costituzioni e le dichiarazioni dei diritti. È importante riflettere su un periodo nel quale, con una serie di conclusioni controintuitive e molto distanti dal contesto in cui si sono sviluppate, si riuscì a dimostrare che il benessere della collettività comporta un miglioramento della vita di ognuno di noi e che la conoscenza è un bene che aumenta quando viene condiviso. In altre parole che se vogliamo accresce il più possibile il nostro sapere dobbiamo agire come se fossimo un unico organismo vivente.
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