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Scienze e tecnologia: amate di più dagli studenti svantaggiati

Il rilancio delle materie scientifiche passerebbe per una maggiore valorizzazione degli studenti provenienti dai ceti sociali svantaggiati. Secondo la fondazione Idis-Città della Scienza di Napoli, diretta da Luigi Amodio, questi ragazzi apprenderebbero la scienza e la tecnologia più dei loro coetanei appartenenti ai ceti sociali elevati. 
Il dato è emerso al termine di una ricerca durata due anni e finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del VI Programma Quadro (Scienza e Società). 
La fondazione, impegnata nella divulgazione della cultura scientifica e tecnologica, avrebbe ravvisato che malgrado in Italia non vi sia una strategia scolastica attenta all’educazione scientifica, la maggior parte degli studenti tra i 10 e 16 anni provenienti da classi sociali disagiate hanno un profondo interesse per il ruolo della scienza e della tecnologia; non solo, i ragazzi sulla carta più svantaggiati dimostrano anche maggiori competenze nel descrivere e rappresentare i fenomeni scientifici studiati.
La fondazione sul tema ha svolto e realizzato un rapporto – “Conoscere il Suono, la Natura, l’Universo” – presentato il 3 maggio presso la propria sede Città della Scienza. I ricercatori dell’Idis hanno si tratta di “risultati significativi soprattutto se confrontati con i dati di Eurydice, la rete di informazione sull’istruzione in Europa, sull’insegnamento delle scienze nelle scuole, da cui emerge la carenza sempre più preoccupante di vocazioni in questo settore”. 
La ricerca ha riguardato 600 studenti provenienti da 11 scuole, situate in Napoli e nei grossi centri della periferia, in quartieri e in comuni dove, oltre alla camorra, dilagano l’evasione scolastica, la microcriminalità, le tossicodipendenze, la disoccupazione. “I dati statistici vanno letti sempre con prudenza – spiega Mario Campanino che ha curato la pubblicazione – ma occorre sottolineare che questo risultato non può essere considerato semplicemente un caso isolato. La capacità degli studenti, provenienti dai ceti sociali deboli, di approfittare delle occasioni formative in ambito scientifico è infatti superiore, in particolare in riferimento alle attività educative non formali”.
Dal punto di vista della elaborazione e della diffusione di una metodologia innovativa per l’insegnamento delle scienze nelle scuole, il rapporto campano sottolinea quindi l’importanza della scuola intesa come comunità di sapere e di pratica impostata su di un corretto equilibrio tra insegnamento formale, non formale e informale. “I percorsi di apprendimento non formale ed informale, unitamente ai percorsi di apprendimento formale – si legge ancora nella pubblicazione – sono fondamentali per contrastare il disagio giovanile e la dispersione scolastica, e rappresentano una opportunità per gli studenti di acquisire comportamenti, conoscenze, abilità e competenze diversificate”.

Alla presentazione del rapporto ha partecipato anche Silvano Tagliagambe, professore ordinario di Filosofia delle Scienze all’università di Sassari, secodo cui le modalità di apprendimento sarebbero aspetti a torto sinora poco considerati anche dalle istituzioni preposte a prevenire bulismo e abbandoni degli studi: “il rapporto tra educazione formale e informale – spiega l’accademico – è sempre più al centro dell’attenzione di esperti ed educatori che studiano strategie per valorizzare, nell’insegnamento a scuola, gli aspetti percettivi e le animazioni che caratterizzano l’educazione informale: basti pensare ai musei scientifici di nuova generazione e ai parchi naturalistici. Con questo lavoro di ricerca si vuole offrire ad insegnanti e studenti uno strumento su cui riflettere in direzione di una più ampia comprensione del modo in cui si strutturano le esigenze, le dinamiche, i processi e i meccanismi del sistema scuola – ha concluso Tagliagambe – ancora oggi troppo ‘isola autoreferenziale’ e non in comunicazione con la società”.

Alessandro Giuliani

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