Continua la protesta in Francia contro la riforma pensionistica di Emmanuel Macron, con il conflitto sociale entrato nella storia: lo sciopero dei trasporti, iniziato il 5 dicembre, ha superato il mese ed è il più lungo mai registrato nella storia della SNCF, la compagnia ferroviaria francese. Il record era del 1986-87, con 28 giorni, ed allora si protestò per i parametri dei salari e le condizioni di lavoro.
Diverse migliaia di persone, fra le quali parecchi gilet gialli, hanno manifestato il 4 gennaio a Parigi. Dietro uno striscione sul quale si leggeva “Macron, ritira il tuo progetto, proteggiamo e miglioriamo le pensioni”.
Fra i manifestanti, c’erano anche rappresentanti del settore medico e ospedaliero e diversi insegnanti.
Sulla piazza, c’era anche il corpo di ballo dell’Opera, che si oppone alla cosiddetta “clausola del grand-pere” prevista dalla riforma, in base alla quale si andrebbe a perdere il loro regime speciale (risalente all’epoca di Luigi XIV), l’unico che consente di andare in pensione a 42 anni, a causa dell’alto logorio fisico derivante dalla particolare professione.
Il discorso di Macron per la fine dell’anno ha confermato la determinazione dell’Eliseo a portare a termine la riforma delle pensioni: l’obiettivo del Governo è innalzare l’uscita dal lavoro, da 62 a 64 anni, e superare i 42 regimi pensionistici diversi, compresi quelli speciali, in favore di un “sistema universale” come misura di giustizia sociale.
Macron ha esortato l’esecutivo a “trovare presto un compromesso”. I negoziati però restano su un binario morto, anche se nuovi contatti fra sindacati e governo sono fissati per il 7 gennaio. Per quello stesso giorno è prevista anche la ripresa delle manifestazioni e delle assemblee. E anche la protesta dovrebbe riprendere con più vigore, con una nuova mobilitazione interprofessionale prevista per giovedì 9 gennaio e una manifestazione intersindacale per sabato 11.
Intanto, giungono i dati di partecipazione agli scioperi svolti sinora. Nei trasporti, la società ferroviaria Sncf ha stimato che lo scorso venerdì solo il 6,2% del suo personale ha incrociato le braccia, il tasso più basso dall’inizio degli scioperi, e meno di un terzo (il 31,2%) dei macchinisti.
Le percentuali di adesione agli scioperi organizzati in Francia, invece, in Italia vengono riscontrate solo in rare occasioni. Evidentemente, le battaglie sociali e professionali condotte dai sindacati del nostro paese non riescono ad avere quell’appeal invece riscontrato altrove.
Eppure in Italia i motivi di malcontento vi sarebbero: sempre per rimanere sul tema delle pensioni, nel nostro Paese l’uscita dal lavoro, salvo le professioni usuranti, con la riforma Fornero è stata portata a 67 anni, peraltro con la possibilità che l’aspettativa di vita faccia aumentare ulteriormente questa soglia.
Il malcontento, tuttavia, non si tramuta in manifestazioni di piazza o astensioni dal lavoro organizzate.
Fanno eccezione alcuni scioperi intercompartimentali. Mentre quelli delle categorie stentano di più.
Nella scuola, ad esempio, si ricorda lo storico sciopero del maggio 2015, quando contro la riforma di Renzi scesero in piazza quasi milioni di persone con oltre il 70% di adesioni alla mobilitazione organizzata da tutti i sindacati compatti.
La normalità, sempre rimanendo nel comparto della scuola, è quella di un alto numero di scioperi ma una risibile quantità di adesioni: ed è questo uno dei motivi per cui l’Aran chiede di rivedere le regole.
Di recente, Tuttoscuola, ha calcolato che solo nell’ultimo anno sono stati proclamati 12 scioperi nella scuola, quasi sempre per iniziativa di piccole sigle sindacali: ebbene, l’adesione si è collocata tra lo 0,50% e l’1,62%.
Il basso numero di partecipanti allo sciopero, è comunque bastato per creare alti problemi al regolare svolgimento del servizio scolastico: sempre la rivista ha stimato in due milioni e mezzo le ore di lezione perse dagli studenti, sempre negli ultimi 12 mesi, e in oltre 60 milioni di euro il relativo costo per lo Stato.
L’effetto ridondante dello sciopero, a dispetto del basso numero di scioperanti, viene addebitato al fatto che comunque i dirigenti scolastici comunicano alle famiglie che il servizio non viene garantito.
E molte famiglie non mandano i figli a scuola, non distinguendo uno sciopero indetto da uno o più sigle sindacali rappresentative da una giornata di richiesta di astensione dal lavoro invece proclamata da una sigla sindacale minore se non addirittura anonima.
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