Quando i lavoratori francesi scendono in piazza, il Governo si preoccupa. Ricorderete certo gli interminabili blocchi dei trasporti, i gilets jaunes, gli scioperi della scuola. Settimane intere di interruzione dei servizi fino all’apertura di un negoziato. Adesso ci risiamo, tutti i sindacati sono sul piede di guerra, cominciano le prime manifestazioni di piazza. Il motivo? La riforma delle pensioni, fortemente voluta da Macron, che prevede di portare da 62 a 64 anni l’età minima pensionabile.
Dal mondo della scuola le proteste sono vibranti: come riportato da tutta la stampa francese, gli insegnanti pensano che la proposta sia irricevibile, impensabile stare in cattedra fino a 64 anni. In particolare, il quotidiano Le Monde sottolinea il fatto che oltre all’età anagrafica, occorrerà fare i conti anche con il periodo contributivo, che da quarantadue anni passerebbe – a causa di questa riforma – a quarantatré, per non avere tagli sulla pensione.
Il 19 gennaio scorso la prima, grande, mobilitazione dei docenti francesi: ha scioperato il 42% degli insegnanti della scuola primaria e il 34% della secondaria. I docenti francesi proprio non si vedono a 64 anni a fare fronte a classi sempre più numerose, ad accompagnare gli alunni nei viaggi e nelle gite scolastiche, a correggere compiti, a progettare percorsi didattici e chi più ne ha…
Anche sul versante stipendi – decisamente più alti dei cugini poveri italiani – i docenti francesi fanno valere le proprie ragioni: sulla base dei nuovi aumenti previsti a partire dal prossimo mese di settembre, i neo immessi i ruolo avranno uno stipendio di circa 2079 euro, che aumenterà dopo una decina d’anni di servizio a 2300 e così via, fino ad arrivare a oltre 3000 alla fine della carriera.
Tornando alla questione pensioni, e al di là di ogni differenza salariale e di sistema tra Francia e Italia, una cosa è però certa: i bambini e i ragazzi di entrambi i versanti delle Alpi hanno bisogno di docenti giovani e motivati. Non che l’età anagrafica sia sempre e comunque garanzia di dinamismo ed efficacia didattico-metodologica, ma di certo è più facile che oltre i sessanta ci si senta “inadeguati”, soprattutto per quanto riguarda il gap generazionale sempre più profondo, destinato ineluttabilmente a scavare un fossato tra docenti e ragazzi, due mondi sempre più dissimili e lontani. A dispetto di ogni cliché duro da sradicare, che vede i professori come quelli delle diciotto ore settimanali e dei tre mesi di vacanze, è tempo che la professione docente cominci a essere considerata atipica, non vogliamo rischiare il termine “usurante”, ma sicuramente diversa da molte altre, una professione che necessita di un regime pensionistico su misura.
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