Dopo la protesta della scuola il 10 dicembre, oggi è la volta del mondo del lavoro. Allo sciopero del 16 dicembre sono presenti anche i leader delle sigle sindacali del comparto scuola, oggi al seguito dei relativi gruppi generalisti. “Noi siamo stati il detonatore di una ribellione più ampia, quella del 16 dicembre“, ad affermarlo Pino Turi, segretario di Uil scuola ai microfoni del nostro direttore Alessandro Giuliani.
“Serve che si cambi politica in questo Paese – continua il leader sindacale -. La scuola non può più partecipare perché già un giorno di sciopero è tanto e noi l’abbiamo fatto, ma non si dimentichi che anche la scuola rappresenta il mondo del lavoro. Nella scuola ci sono persone che lavorano con dedizione, non abbiamo bisogno di ulteriori sottolineature che sono un’offesa per questa categoria”, contesta puntando il dito contro l’articolo 108 della legge di bilancio che parla di valorizzazione della professione insegnante legando merito e dedizione agli eventuali aumenti salariali.
Ricordiamo che quello del 16 è uno sciopero indetto dalle sigle confederali nazionali di CGIL e UIL, uno sciopero generale di 8 ore con una manifestazione nazionale a Roma e con il contemporaneo svolgimento di analoghe e interconnesse iniziative interregionali in altre 4 città, Bari, Cagliari, Milano e Palermo.
Il personale della scuola – si legge nel comunicato congiunto delle due sigle sindacali – nel rispetto della legge 146/90 non può aderire allo sciopero generale.
E ancora: La manovra è stata considerata insoddisfacente da entrambe le Organizzazioni sindacali in particolare sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, del contrasto alla precarietà del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, della non autosufficienza, tanto più alla luce delle risorse, disponibili in questa fase, che avrebbero consentito una più efficace redistribuzione della ricchezza, per ridurre le diseguaglianze e per generare uno sviluppo equilibrato e strutturale e un’occupazione stabile.
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