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Sciopero 27 settembre e la bigiata di massa: alcune riflessioni

Caro ministro Fioramonti, c’era una volta, tanto tempo fa, il sottile e complesso piacere della bigiata. Ma quanto, fa? Personalmente parlo degli anni immediatamente precedenti e immediatamente successivi ai fatidici ’70: un torno di tempo che si può ben assumere come uno spartiacque (non l’unico, certo) della storia recente.

La bigiata si complottava con i compagni di classe o gli amici del bar il giorno prima, e non si era mai in tanti. Si andava a letto con un misto di ansia, timore, eccitazione, nonché sollievo e rimorso preventivi. Sollievo per lo scampato tormento dell’indice del prof che scorre lento sull’elenco degli studenti, la scena muta durante l’interrogazione, le parole sferzanti, gli sguardi pietosi e impietosi, l’umiliazione. Rimorso perché in quei tempi lontani esistevano le famiglie, c’erano le madri e c’erano perfino i padri. E l’educazione che ti impartivano era qualcosa che cagliava dentro, e violare le regole era un’intima ferita che andava oltre la possibile punizione. Strani tempi, vero? Bé, allora era così.

Il mattino del giorno X ci si trovava in un luogo prestabilito non troppo vicino a casa, ma soprattutto lontano dalla scuola, e si migrava verso il centro cittadino (a Milano, per quanto mi concerne). Si bighellonava, si chiacchierava, ci si infilava in certi intimi cinemini aperti al mattino, e infine si tornava a casa con quella desolazione che ti lasciano dentro i piaceri ambigui quando hanno la fine.

E quando l’occasione era il volantinaggio, il corteo, altra manifestazione, poco cambiava, perché agli albori della rivoluzione che non ci fu i genitori erano propensi a  consigliare ai figli di badare ai fatti propri e a pensare allo studio: pochi erano quelli che ne assecondavano l’impegno sociale.

Era, a suo modo, un’esperienza formativa, di cui sapevi che non dovevi abusare  per non cadere nel girone delle anime perse e che aveva quasi sempre, come corollario, il rito della falsificazione della firma paterna sul libretto delle assenze: altre ansie, altre dubbie soddisfazioni quando ti accorgevi, dopo numerose prove, che il falso era vicino all’originale.

Ed ecco, dopo cinquant’anni, d’un tratto risolti i problemi. Ma risolti come, caro Ministro Fioramonti? Eliminando l’ostacolo, appianando il terreno, edulcorando l’assenzio. Insomma legittimando l’inadempienza, e così uccidendo allo stesso tempo  sia il gusto della trasgressione che la soddisfazione  del dovere assolto.  E quindi diseducando. E non vale dire che questa legittimazione, in fondo, varrebbe solo per il clima e una tantum. Perché un domani non dovrebbe valere per qualcos’altro? Le “buone” cause sono potenzialmente infinite, in tempi di creatività. Accanto a Greta potranno crescere e operare altre minorenni subornate, altri fenomeni mediatici fabbricati a tavolino e inviati in pellegrinaggio per il mondo a spargere il verbo.

E la Sua scuola, caro Signor ministro, somiglierebbe sempre di più a una grande adunanza di zuzzurelloni, una compagine di teste in vacanza,  un luogo dove tutto è permesso. Per farla breve, signor Ministro:  somiglierebbe al governo di cui Lei fa parte.

Alfonso Indelicato

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