Più si avvicina lo sciopero generale di venerdì 29 novembre di Cgil e Uil contro la manovra di bilancio e più sale la tensione. I motivi di scontro sono partiti dai rilievi mossi dalla Commissione di garanzia sugli scioperi, che ha chiesto di ridurre lo stop nei trasporti da 8 a 4 ore per “il fondato pericolo di un pregiudizio grave ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”. Il ministero dei Trasporti, guidato dal vicepremier e ministro Matteo Salvini, ha immediatamente fatto propria l’indicazione. Ma le organizzazioni sindacali guidate da Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri non hanno cambiato il piano di sciopero. Così è scattata la precettazione da parte di Salvini. Che però i due sindacati non sembrano volere accettare: Cgil e Uil, che sostengono di avere rispettato la legge, confermano ragioni e modalità dello sciopero generale di 8 ore, trasporti compresi (aerei e Tpl, ma non quello ferroviario che rimane escluso dalla protesta) e si potrebbero appellare al Tar perché comunque le fasce di garanzia sono state salvaguardate.
Ogni parte ha le sue ragioni. Salvini se la prende con i “1.342 scioperi proclamati e 949 effettuati, 38 al mese, di cui 518 proclamati e 374 effettuati a livello nazionale, più di uno sciopero al giorno”, nei 25 mesi del governo guidato da Giorgia Meloni e torna a difendere anche “il diritto alla mobilità, alla salute ed al lavoro di tutti gli altri italiani”.
Dal canto loro, Landini e Bombardieri intravedono nella “mossa” del Ministro la volontà di ledere il diritto di sciopero e se la prendono anche col Garante: “La Commissione di garanzia ha obbedito ai diktat del ministro Salvini, continuando ad avanzare ulteriori richieste per la limitazione del diritto di sciopero”.
A Salvini chiedono “cosa abbia fatto in questi due anni” per i trasporti e per la sicurezza, perché “il diritto alla mobilità va garantito sempre e non solo in occasione della proclamazione degli scioperi”.
Anche Antonio Amoroso, segretario nazionale della Confederazione unitaria di base, dopo l’incontro con Salvini, prende atto della precettazione sostenendo “che il sindacato subisce la riduzione oraria obtorto collo solo per non danneggiare i lavoratori” ma ritiene “la decisione del Governo un golpe sindacale”.
“Il provvedimento – ha aggiunto – è una violazione di tutte le norme. Cub e Sgb hanno indetto l’astensione nei tempi previsti e rispettando alla lettera la legge: è evidente che il Governo teme la dimostrazione che il Paese non condivide una politica economico sociale inaccettabile che peggiora sanità, pensioni, salari, scuola, casa. Se credono di avere vinto si sbagliano di grosso: la Cub sta preparando nuove lotte”.
Precettazione a parte, venerdì 29 avranno la possibilità di opporsi alla Manovra di Bilancio 2025 tutti i settori (a parte i treni), privati e pubblici: dai metalmeccanici al commercio, dalla scuola alla sanità, dalla giustizia alle poste. Cgil e Uil, ma anche i comitati di base, scenderanno in piazza per chiedere di cambiare la legge di Bilancio considerata “inadeguata” e di aumentare salari e pensioni, finanziare sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali.
Con i sindacati, si schiera il Partito democratico: “Ormai Salvini lavora scientificamente per ridimensionare il diritto di sciopero. Un diritto garantito dalla Costituzione”, dicono il capogruppo dem in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto, e la deputata e responsabile Lavoro del Pd, Maria Cecilia Guerra.
Il leader della Uil Bombardieri sarà presente a Napoli, quello della Cgil Landini alla manifestazione di Bologna.
Nei giorni scorsi, Landini aveva detto alla Tecnica della Scuola che “questo governo ha scelto di tagliare la spesa sociale. Che significa tagliare la spesa per la scuola e per gli insegnanti, che vuol dire tagliare la spesa per la sanità, che vuol dire tagliare la spesa per i servizi sociali, che vuol dire bloccare le pensioni, che vuol dire non rinnovare i contratti, non aumentare i salari, che vuol dire non fare diventare stabili quelli che sono precari e ha scelto, al contrario, di non agire sulle entrate, di non andare a prendere i soldi dove sono, di non fare la riforma fiscale, di non combattere l’evasione fiscale, di non investire in realtà sulla qualità del lavoro e sulla qualità della vita. E per questa ragione noi pensiamo che sia necessario mobilitarsi”.
Nel frattempo, Landini ha dovuto incassare anche le perplessità del segretario della Cisl Luigi Sbarra, per il quale “usare la mobilitazione generale in modo compulsivo, oltre ad allontanare le persone dal sindacato, porta a toni sempre più alti e a un clima sempre più irrespirabile nei luoghi di lavoro e nelle comunità”.
Secondo il numero uno della Cisl “da sempre guardiamo allo sciopero come allo strumento di extrema ratio, una scelta anche dolorosa, perché implica il fallimento del momento negoziale e sacrifici per i lavoratori. Lo sciopero rimane uno strumento sindacale, finalizzato a portare risultati tangibili per le persone e non a esprimere opposizione a un governo o a un’area politica. In questo quadro, quando il dialogo si spezza siamo i primi a scendere in piazza”.
Sbarra ha quindi detto che “la via maestra è quella della contrattazione, della concertazione e della partecipazione. Altrimenti si corre il rischio dell’irrilevanza o quello di fare il gioco di chi ci vorrebbe trasformare in soggetti apparentemente rumorosi, ma di fatto deboli e imbelli”.
Sulla manovra 2025, infine, il leader della Cisl ha detto che “presenta tanti elementi coerenti con quanto rivendicato dalla Cisl, e non solo, in questi mesi. Ora dobbiamo lavorare per migliorare ulteriormente i contenuti”.
Controreplica di Landini: “Io non devo rispondere nulla al segretario della Cisl – ha detto, a margine di una iniziativa a Firenze -, lui fa le sue scelte e sarebbe utile che, come noi lo rispettiamo, lui rispettasse anche le altre persone. Lo sciopero è un diritto, e se si arriva a una situazione di questo genere è perché non siamo ascoltati”.
Il leader della Cgil ha osservato che “ai lavoratori dipendenti pubblici”, scuola compresa, “sono stati offerti aumenti del 6% quando l’inflazione è al 17%. Cosa dovrebbero fare i lavoratori pubblici? Accettare la riduzione programmata del proprio potere d’acquisto?”.
La verità, ha continuato, è che “stanno precarizzando qualsiasi cosa e in più l’unica spesa pubblica che aumenta, mentre tagliano la sanità, la scuola, i servizi, i Comuni, è quella per le armi. Cosa dovremmo fare?”.