“Lo sciopero della scuola è andato bene. Bisognava dare un segnale forte di dissenso, perché in gioco c’è il futuro del Paese. La partecipazione è stata altissima a livello nazionale. Ciò dimostra come il piano del governo non interpreti assolutamente le aspettative di quanti conoscono davvero i problemi della scuola perché ci lavorano tutti i giorni. E’ una riforma autoritaria, verticistica e antidemocratica. La vera riforma della scuola può essere solo quella che restituisce autorevolezza alla figura del docente”.
Con queste parole il coordinatore regionale Gilda-Calabria, Nino Tindiglia, commenta la grande partecipazione del personale scolastico allo sciopero unitario del 5 maggio. Tindiglia, che ha presenziato alla manifestazione di Bari, insieme ai segretari regionali di Puglia e Basilicata e a diversi esponenti nazionali del mondo sindacale, ha annunciato che “la protesta andrà avanti, probabilmente con il blocco degli scrutini. Qui a Bari, oggi, c’è un mare di persone –ha detto al telefono- Al corteo ha sfilato anche il comitato degli studenti, i quali hanno addirittura intenzione di boicottare le prove Invalsi”.
Sono giorni caldissimi nel mondo della scuola, insorto contro il Piano scuola del governo, ovvero il disegno di legge 2994, attualmente al vaglio del parlamento. La protesta ha accomunato docenti, precari, studenti, personale scolastico di Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Gilda-Unams, Snals-Confsal, Uds. Non si assisteva ad una mobilitazione di tale portata da sette anni, cioè dal tempo della riforma Gelmini. Ma stavolta le aspettative sono state di gran lunga superate, con una partecipazione nazionale di oltre l’ 80%, contro il 66% di protestanti del 2008.
Cifre da record in alcune città calabresi, come Lamezia Terme, dove ha scioperato oltre il 70% del personale scuola, con netta prevalenza dei docenti. Negli istituti superiori, i picchi massimi li hanno registrati l’ Ipa (80%), il liceo Campanella (85%), il liceo scientifico (95%), l’ Ipsia e l’ Einaudi, che in mattinata risultavano quasi completamente deserte. In controtendenza solo il liceo classico, con una partecipazione del 30%.
Sono diversi i motivi della protestache ha unito milioni di cittadini, anche attraverso flash mob organizzati in numerose piazze e scuole italiane, tra cui l’ istituto Maggiore Perri di Lamezia.
Si punta il dito contro il piano assunzioni, ridotto di 50 mila unità rispetto alle previsioni iniziali, e contro le modalità di reclutamento, mobilità e gestione del personale. Il disappunto converge soprattutto sulla figura del preside-sceriffo, che godrà di enormi poteri, dalla scelta dei docenti, alla loro valutazione, all’assegnazione di premi ai meritevoli. La scuola pubblica protesta anche contro le agevolazioni che saranno riservate agli istituti privati.
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dopo aver dichiarato giorni fa che avrebbe protestato solo una sparuta minoranza, ha proseguito dritto per la sua strada senza manifestare alcuna intenzione di modificare l’ impianto riformatore, a parte semplici ritocchi. Mentre il ministro Stefania Giannini ha dichiarato di non capire le ragioni di una protesta, “montata dagli insegnanti per difendere i propri privilegi”.
“Ho scioperato come docente, prima ancora che come sindacalista- ha affermato Antonella Cerra di Anief- Il senso dello sciopero non era quello di dare consistenza numerica a questo o quel sindacato. E’ stato, invece, un allarme lanciato dai “professionisti della conoscenza”, che si sono ribellati alla riforma. Ringrazio Renzi- ha concluso – perché ha avuto quantomeno la capacità di riunire le sigle sindacali sotto un’ unica bandiera: quella del “no” al ddl”.
Secondo Roberto Zicarelli, membro del Collegio dei probiviri Gilda di Catanzaro, “sarebbe anticostituzionale un meccanismo per cui il governo si sceglie i presidi e i presidi si scelgono i docenti. Certi sistemi possono funzionare in altri Paesi, ma non da noi, dove il più delle volte prevalgono logiche clientelari, che nulla hanno a che vedere con il merito. E’ importante esprimere il dissenso dell’ intera categoria contro una politica scolastica intrisa di autoritarismo, costruita a tavolino da chi dice di voler valorizzare il merito, ma poi predilige sistemi di reclutamento niente affatto meritocratici e trasparenti.
Una politica incapace di comprendere le vere priorità della scuola, che non sono certo introdurre il trilinguismo e l’ ora di religione nei corsi serali, con l’ inevitabile snaturamento degli istituti tecnici, sempre più svuotati dei contenuti tecnico-professionali specifici. I problemi da affrontare sono ben altri, in primis le precarie condizioni di sicurezza degli edifici scolastici, dove porte e intonaci cadono in testa alle persone”.
E, in effetti, “mala tempora currunt” nel settore dell’ edilizia scolastica. Nell’ultimo mese, in Italia in una decina di edifici scolastici si sono staccati intonaci e controsoffittature. In una scuola di Lamezia si è staccato da una porta un pannello di alluminio, cadendo in testa ad un’ insegnante e procurandole un trauma cranico.
Secondo il Censis, in Italia 24 mila delle 41 mila scuole esistenti hanno impianti elettrici, idraulici e termici non a norma; in 9000 edifici scolastici gli intonaci cadono a pezzi, in più di 7 mila andrebbero rifatti tetti e coperture e in 3.600 istituti servirebbero interventi sulle strutture portanti. La maglia nera per la manutenzione scolastica va alla Calabria, con 1428 scuole a rischio.
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