Sarà uno sciopero molto importante quello di venerdì 27 settembre: il 3° Global Strike For Future, che riempirà le piazze di tutto il mondo per chiedere ai Governi di tutto il pianeta un cambio di rotta radicale sulle politiche energetiche ed economiche. Un cambio che miri salvare l’umanità intera dalla catastrofe climatica incombente (ed inevitabile qualora nulla — o poco — fosse fatto a livello globale).
È quindi un privilegio per i docenti esser chiamati scioperare e a manifestare per questo. Chi, se non gli insegnanti, ha la cultura, la sensibilità e i principi necessari per comprendere la situazione, prendersi le proprie responsabilità e dare l’esempio ai giovani con le proprie scelte (anche sindacali e politiche)? Con quale mezzo, se non con uno sciopero — specie se globale — i cittadini (in quanto lavoratori) possono far capire a chi comanda di essere molto scontenti dell’andazzo politico, economico, energetico, ecologico? Verità lapalissiane, ancorché non da tutti riconosciute.
Eppure, come sempre, nei corridoi delle scuole già si sente dire che «lo sciopero è inutile» (come se fosse utile lavorare in un giorno di sciopero mondiale), che «costa troppo» (quasi che la crisi climatica fosse destinata a costar meno), che «il cambiamento climatico non ci riguarda come lavoratori» (come se la distruzione del nostro pianeta non ci riguardasse anche come lavoratori).
Questo atteggiamento remissivo, piagnucoloso e rassegnato (nonché indifferente) è ovviamente musica per le orecchie di qualunque controparte. Ed è uno dei più velenosi frutti della manipolazione delle coscienze praticata negli ultimi 30 anni.
Per manipolare le coscienze occorre convincere il cittadino che la festa è finita, e che prima o poi dovrà rassegnarsi “dolorosi (ma inevitabili) sacrifici“. È così che il VI Governo Andreotti (pentapartito di centrosinistra) riuscì ad imporre la legge antisciopero (legge n. 146) nel 1990, dopo un ventennio di propaganda contro il “caos” generato dagli scioperi. Ed è così che tutti i Governi (compreso l’attuale) hanno operato e stanno attivamente operando, da allora, per ridurre ulteriormente questo indisponibile diritto, benché costituzionalmente garantito. Il che dimostra — se non altro — che lo temono.
Fondamentale, per varare la legge 146/1990, fu il cosiddetto “senso di responsabilità” dimostrato allora dai sindacati “maggiormente rappresentativi”. Nessuno dei quali si ricordò che limitare il diritto di sciopero è un atto da regimi autoritari.
Prima di vedersi riformare più volte le pensioni (fin quasi a distruggerle, con la riforma Fornero del Governo Monti, formato da PD, PDL, Unione di Centro, Futuro e Libertà per l’Italia e altre liste minori) gli Italiani sono stati bombardati per decenni con la favola delle casse vuote dell’INPS, dell’allungamento della vita media che avrebbe fatto saltare il sistema, e via terrorizzando. In realtà, l’INPS godeva ottima salute; tanto che, per farlo ammalare un po’, i vari Governi hanno pensato bene di svenderne i beni immobili (facendo la felicità di alcuni compratori bene informati).
Da 35 anni ci sentiamo dire che «il posto fisso non c’è più», e che «cercarlo ancora è da illusi», e che i nostri figli dovranno rinunciarvi per diventare “imprenditori di se stessi”. Ve lo immaginate, un popolo di “imprenditori di se stessi”?
Tutto ciò annunciava, di fatto, la distruzione dei diritti dei lavoratori, che qualcuno voleva rassegnati ciò che passa il convento, senza garanzie né diritti. Un mondo a misura del ricco per nascita, senza rispetto per chi è ricco solo del proprio lavoro. Un mondo come il nostro, la cui regola è il precariato o il lavoro nero.
Ci fanno credere che la crisi sia dovuta ai nostri “troppi diritti”, alle troppe garanzie, all’eccessivo “assistenzialismo”. Ci convincono lasciar privatizzare tutto: aziende pubbliche, ospedali, scuole. Vorrebbero darci bere che ultraliberismo e assenza di tutele siano la panacea per tirarci fuori dalla crisi (generata invece proprio dall’ultraliberismo e dalla sfrenata deregulation che domina il pianeta da 40 anni). Fingono di non sapere che tra il 1945 e il 1975 il nostro era uno dei Paesi del mondo con la crescita maggiore; e che ciò era dovuto alle scelte politiche dei Governi di quel periodo, fondate su un’economia capitalistica di tipo keynesiano, sulle garanzie per i lavoratori, sulla forte presenza dello Stato nelle attività economiche. Nascondono il dato incontestabile che il declino del Paese è iniziato con l’abbandono di quelle scelte. Abbandono che ha d’altronde consentito di ammassare la ricchezza in pochissime, fameliche mani: e ha permesso — a livello globale — la distruzione dell’ambiente naturale, con le conseguenze catastrofiche che già stiamo vivendo.
Per condizionare le masse, bisogna cuocerle in un primordiale brodo di mediocrità e ignoranza, tramutando i cittadini in spettatori, in consumatori compulsivi, in beoti che detestino la cultura e l’approfondimento, incapaci di accorgersi che un politicante d’infimo ordine (o un sindacalista asservito alla controparte) li sta bellamente prendendo per il naso. Incapaci di accorgersi che, non difendendo l’ambiente, rischiano la fine dell’umanità (e la propria).
Fondamentale, a questo scopo, è distruggere la Scuola Statale (l’unica pubblica), o almeno svuotarla della funzione che la Costituzione le ha dato: quella di ascensore sociale, di istituzione finalizzata all’emancipazione dagli ostacoli di ordine culturale che impediscono le libere scelte individuali, la comprensione della realtà, l’effettiva eguaglianza di opportunità per tutti. Per neutralizzare la Scuola Statale è utile annullare i Docenti e la loro libertà d’insegnamento: colpevolizzandoli (come già abbiamo detto), sottopagandoli, infamandoli, beffandoli, considerandoli “impiegati part-time”, privandoli della libertà d’insegnamento e valutazione (attraverso, per esempio, i quiz Invalsi, dei quali più volte ci siamo occupati). Ma tutto ciò qualcuno non basta. Il colpo di grazia sulla Scuola della Costituzione sarà, sic et simpliciter, la privatizzazione, de facto se non de iure. Questo è l’effetto reale della “riforma” scolastica del Governo Renzi (legge 107/2015, orwellianamente definita “Buona Scuola”), ammantata di belle parole e di altisonanti dichiarazioni d’amore per Scuola e Docenti.
Checché ne pensino i depressi, i disimpegnati, gli sfiduciati, scioperare il 27 per la salvezza del pianeta potrebbe segnare un’inversione di tendenza rispetto a tutto ciò. Sarebbe infatti la dimostrazione tangibile che i docenti, malgrado tutto, esistono, comprendono, resistono e difendono la Scuola, la Terra, la Libertà, l’Umanità; consapevoli che la Storia non è ancora finita, e che ancora nulla è perduto
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